Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/180

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GOGOL

ria in buon ordine, senza gridare né fischiare ai cavalli, trottava leggiera dietro ai pedoni, e presto sparirono tutti nelle tenebre. Si udiva soltanto il sordo scalpitío dei cavalli e qualche stridere di ruota non ancora ben messa in carreggiata o non abbastanza unta, nell’oscurità della notte.

Per un bel pezzo ancora i compagni rimasti continuarono a far loro cenni di saluto agitando le braccia di lontano, quantunque non si vedesse oramai piú niente. Ma quando si mossero per tornare ai loro posti, quando alla chiara luce delle stelle videro che una metà delle teljeghe non c’era piú, e che molti e molti compagni mancavano, sentí ognuno una stretta al cuore, e tutti senza volere rimasero pensierosi, chinando a terra le loro teste di gente allegra. Taras vide come erano turbate le file cosacche, e come un senso di sgomento, non conveniente all’uomo prode, cominciava ad avvolgere le loro teste; ma taceva: voleva dare tempo al tempo, acciocché si assuefacessero anche alla tristezza prodotta in loro dalla partenza dei compagni. Ma frattanto, nella quiete, si preparava a ridestarli tutti in una volta e all’improvviso, mandando un grido di guerra alla cosacca, perché di nuovo e con piú forza di prima tornasse la baldanza a ciascuno nell’anima; cosa a cui


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