Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/227

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TARAS BUL'BA

la «via ebrea», perché lí realmente si trovavano quasi tutti gli Ebrei di Varsavia. Quella via somigliava straordinariamente a un fondo di cortile rivoltato in fuori. Si vedeva bene che il sole non c’entrava mai. Le case di legno del tutto annerite e le pertiche tese fuori delle finestre rendevano anche piú grande l’oscurità. Qua e là tra quelle case rosseggiava un muro di mattoni, ma anche quello in molti punti s’era già tutto cangiato in nero. Talora, soltanto sulla cima di un pezzo di muro intonacato, percosso dal sole, splendeva un bianco insopportabile per gli occhi. Lí tutto consisteva in cose luride e ripugnanti, canne, cenci, bucce, rottami di vasi gettati. Ognuno, appena trovava in casa un oggetto inservibile, lo scaraventava nella strada, offrendo ai passanti la massima comodità di appagare tutti i sensi con quella sozzura. Un uomo a cavallo poteva quasi toccare con la mano le pertiche tese attraverso la strada da una casa all’altra, con su sospese tante calze di giudei, calzoncini corti e oche affumicate. Qualche volta un visetto di ebrea piuttosto belloccia, adornata di perle finte annerite, faceva capolino da una vecchia finestrella. Uno stuolo di ragazzi ebrei, sudici, laceri, dai capelli ricciuti, schiamazzava e si voltolava nel sudiciume. Un ebreo di pelo rosso, col volto tutto


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