Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/30

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GOGOL

ni in un un anno, ma in seguito, per parecchi anni, non aveva avuto neppur notizia di lui. E poi, anche quando si vedevano, quando vivevano insieme, che vita era la sua? Le toccava sopportare offese, perfino percosse; rassegnarsi a carezze offerte soltanto per compassione; essere qualcosa di singolare in mezzo a quell’accozzaglia di cavalieri scapoli, a cui la sfrenata vita di Saporog aveva impresso il suo colorito di rozzezza. La gioventú senza conforto svaniva dinanzi a lei; senza baci sfiorirono le sue belle guance fresche e il bel seno e si coprirono di rughe precoci. Tutto l’amore, tutti i sentimenti, tutto quel che c’è di tenero e appassionato in una donna, tutto in lei si trasformò nell’unico affetto materno. Con ardore, con passione, con lagrime, simile al gabbiano della steppa, essa roteava con le ali aperte sopra i suoi figli. I suoi figli, i suoi cari figli glieli portano via, glieli portano via per non lasciarglieli vedere mai piú. Chissà? forse al primo scontro coi Tartari, mozzeranno loro la testa, ed essa non saprà mai dove giacciono i loro corpi abbandonati, sui quali si poseranno a beccare nel loro passaggio gli uccelli di rapina! E dire che per ogni goccia del loro sangue essa avrebbe dato tutta se stessa! Singhiozzando, essa guardava nei loro occhi mentre il sonno invincibile li


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