Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/44

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GOGOL

occhi bassi, e per la vergogna non osava muovere un dito, e quando riconobbe in lui quel medesimo giovine che sotto i suoi occhi era stramazzato sulla strada, daccapo non poté piú tenersi dal ridere. Del resto, nella fisionomia di Andrea non c’era niente di pauroso; egli era molto bello. Ella rideva proprio di gusto, e per un bel pezzo si divertí alle spalle di lui. La bella era leggiera, come una vera polacca, ma i suoi occhi, incantevoli, luminosi e penetranti, gettavano uno sguardo lungo, che dava l’idea della costanza. Il collegiale non aveva la forza di muovere un dito, ed era impacciato, come se fosse stato chiuso in un sacco, quando la figlia del Vojevoda arditamente gli si avvicinò, gli mise in testa il suo splendente diadema, gli appese alle labbra i suoi orecchini e gli mise addosso una camicetta di mussola trasparente, con festoni ricamati in oro. Ella lo adornava e faceva con lui un’infinità di svariate sciocchezze, con quella disinvoltura da bambini, in cui si segnalano le capricciose polacche, e cosí gettò il povero collegiale in un imbarazzo anche piú grande. Egli faceva una figura ridicola, con la bocca aperta e lo sguardo fisso agli abbaglianti occhi di lei. Un colpo che frattanto fu bussato alla porta la spaventò. Gli ordinò di nascondersi sotto il letto, e appena cessata la sua


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