Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/45

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TARAS BUL'BA

inquietudine, chiamò ad alta voce la sua cameriera, una prigioniera tartara, e le comandò di condurlo fuori, cautamente, nel giardino, e di lí mostrargli la via per uscire attraverso il recinto. Ma questa volta il nostro collegiale non se la cavò cosí felicemente nel traversare il recinto; il guardiano, svegliatosi, lo prese bel bello per le gambe, e la servitú radunatasi lo picchiò a lungo fino sulla strada, sinché i suoi piedi veloci non lo salvarono.

Dopo quel fatto divenne per lui molto pericoloso passare avanti quella casa, perché il Vojevoda aveva una servitú molto numerosa. Egli incontrò la bella polacca ancora una volta nella chiesa cattolica; ella lo scorse, e gli sorrise molto amabilmente come a una vecchia conoscenza. La vide poi un’ultima volta, di sfuggita; poco dopo il Vojevoda di Kovno andò via, e invece della bella polacca dagli occhi neri si vide affacciato alla finestra non so quale viso rozzo e goffo. Ecco a che cosa pensava Andrea con la testa china e gli occhi fissi sulla criniera del suo cavallo.

Ma frattanto già da un pezzo la steppa li aveva accolti tutti e tre nelle sue verdi braccia, e l’alta erba, accerchiandoli, li copriva, sicché soltanto i neri berretti dei cosacchi trasparivano qua e là tra le sue spighe.


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