Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/99

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TARAS BUL'BA

scherava una batteria, o finalmente uno steccato di legno. La guarnigione era forte e sentiva la gravità del momento. I Saporogini con ardore si arrampicarono caldi caldi sul terrapieno, ma furono ricevuti da una violenta scarica di mitraglia. La borghesia e gli abitanti, com’era evidente, non volevano neppure essi essere inutili, e stavano compatti sul terrapieno. Nei loro sguardi si poteva leggere la resistenza disperata; perfino le donne avevano risoluto di fare la parte loro, e sulle teste dei Saporogini volarono sassi, botti, pentole, pece bollente, e da ultimo, sacchi di sabbia che li accecava.

Ai Saporogini garbava poco aver da fare con le fortezze; dirigere un assedio non era di loro competenza. Il Koscevoj ordinò la ritirata, e disse:

— Non fa niente, egregi signori! noi ci ritiriamo, ma voglio essere un sozzo tartaro e non un cristiano, se noi lasceremo vivo uno solo di questa città! lasciamo che muoiano tutti, questi cani, di fame!

L’esercito, tiratosi indietro, cinse d’assedio la città da ogni lato, e, per non saper che fare, si dedicò alla devastazione di quei dintorni, incendiando i villaggi vicini, i covoni di frumento non ancora raccolto, e facendo entrare le mandre dei cavalli nei campi non ancora tocchi


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