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IL MOLIERE 47
E Isabella che mi ama, o finge almen d’amarmi,

Colla crudel sua madre congiura a rovinarmi?
Ma, oimè! la dura pena del mio schernito amore
E vinta dal periglio, in cui posto è l’onore.
Ah maladetto il giorno, che appresi un tal mestiere!
Meglio era con mio padre facessi il tappezziere.
Mio zio per la commedia mi tolse al mio esercizio,
Diè morte a’ miei parenti, e fe’ il mio precipizio.
Studiai; ma che mi valse lo studio sciagurato,
Se dopo aver il Foro per pochi dì calcato,
A questa lusinghiera novella professione
Diabolica mi spinse violenta tentazione?
Ecco il piacer ch’io provo, in premio al mio sudore:
Sto in punto, per due donne, di perdere l’onore.
E tutta la fatica ch’io spesi in opra tale,
E il procurar ch’io feci il decreto reale,
E il dir che per le vie s’è fatto, e per le piazze,
Inutile fia tutto per ragion di due pazze.
Ed io sarò sì stolto di seguitare un gioco,
In cui s’arrischia tanto, e si guadagna poco?

SCENA XI1.

Valerio e detto

Valerio. Molier, son prese tutte le logge del teatro,

I posti del parterre, quei dell’anfiteatro;
E il popol curioso, ripieno di contento.
Di veder l’Impostore sollecita il momento.
Moliere. Vorrei che andasse a foco il teatro e le scene,
E i comici e le donne alle tartaree pene.
Valerio. Signor, ben obbligato. Dove l’autor mandate?
Moliere. A divertir Plutone fra l’anime dannate.

  1. Sc. VII nell’ed. Bett.