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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/284

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274 ATTO TERZO


Egli mi accrescerà il rammarico, la mortificazione, il cordoglio. L’amor mio non ha da attendere la ricompensa dal tuo pentimento, l’ha da pretendere dalla tua obbedienza; e se questa non può ottenersi dalla tua gratitudine, s’ha da procurare dalla mia autorità, dal tuo rispetto, anche a tosto di una giusta rigorosa violenza. Ricorrerò ai tribunali, farò valere le une ragioni, e se donna Lucrezia persisterà a pretendere... Ecco Laurina mia. Oh cieli! Qual motivo me la guida ora dinanzi agli occhi? Come ho io da riceverla? Con amore, con isdegno? Armarmi dovrei di rigore, di minaccie, ma sono una madre amante: nel vederla m’intenerisco, e posso appena trattenere il pianto negli occhi.

SCENA II.

Donna Laurina e detta.

Laurina. Signora, se mi permettete...

Aurelia. Avanzatevi. Che volete voi dirmi?

Laurina. Vorrei domandarvi perdono.

Aurelia. Di che?

Laurina. Di un dispiacere ch’io vi ho dato.

Aurelia. Oh Dio! Laurina mia, hai tu dato la mano a Florindo?

Laurina. Non signora, ma era in punto di dargliela.

Aurelia. Respiro. Che mai t’induceva a procurare la tua rovina, e la mia morte?

Laurina. Le parole, le lusinghe, le importunità di mia zia.

Aurelia. E che ti ha trattenuto sul momento di tarlo?

Laurina. L’amore ed il rispetto che ho per la mia genitrice.

Aurelia. Oimè! posso crederlo?

Laurina. Se voi non lo ceedete, mi fate piangere.

Aurelia. No, non piangere, figliuola mia, consolami, e dimmi come il cielo ti ha illuminata.

Laurina. Non sono poi sconoscente come voi vi pensate.

Aurelia. Ma ti eri lasciata condurre sino a quel passo.

Laurina. Vi domando perdono