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436 ATTO PRIMO
Vachtangel.   Mal confidarmi

A un nemico potrei.
Abchar.   Men che tu credi
Nemico i’ sono al tuo signor. Per esso
M’eccitai contro del mio Re lo sdegno,
Perorando per lui. Dadian rispetto;
È mio Re, mio sovrano, io suo Visire.
Ma abborrisco i tiranni, e ingiusto io trovo
Che con vani pretesti accrescer tenti
Coll’altrui danno la ricchezza e i stati.
Ministro i’ son de’ cenni suoi, ma sdegno
Esser ministro di barbarie ingiusta.
Lascia che il vil Macur la giovin abbia.
Onta non le farà; dalle sue mani
O trarrolla col prezzo, o il servo abbietto
Farò perir, se a possederla insiste.
Tanta beltà, tanta virtù che intesi
Dal tuo labbro esaltar, m’invoglia averle
Quella pietà ch’è di lei degna. Guardie,
Pria che Macur colla straniera inoltri
Il piè alle tende, l’un e l’altra i’ voglio
Veder io stesso e ragionar con seco.
Ite e qui li guidate. (parton le Guardie
Vachtangel. O saggio, o illustre,
O pietoso Visir. Condegno aspetta
Premio dal mio signor: non è qual pensi
Lungi da noi di Bacherat l’aspetto.
Abchar. Celato è forse in vicinanza il prence?
Vachtangel. Sì, l’amor che tu mostri all’onestade,
E alla giustizia, e alla ragion, non merta
Ch’io t’asconda un arcano. Io però svelo
Ciò che nuocere a me potria soltanto,
Non a lui, che sicuro è d’ogn’insulto.
Due tiri d’arco non è lungi il prence
In folta macchia rimpiattato, e cinto