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226 parte prima - capitolo xxxiv

del secolo del Chiari, con un libretto di centosettantacinque pagine pubblicato dal libraio Colombani l’anno 1761, sotto al titolo di Fogli sopra alcune massime del «Genio e costumi del secolo» dell’abate Pietro Chiari e contro ai poeti Nugnez de’ nostri tempi.

Nugnez, che dopo aver esercitati parecchi mestieri, con poca educazione e molta ignoranza, divenne improvvisamente autore d’un lago di commedie e di romanzi, descritto nel famoso romanzo del Gil-Blas di Santillana, fu somigliantissimo all’abate Chiari ed a’ suoi seguaci, ch’io presi di mira nelle mie centosettantacinque pagine.

Non darò la pena a me di scrivere, né ad altri di leggere l’estratto di quel libro giá pubblicato in difesa della nostra accademia contro al Chiari, contro al cherico Bordoni, contro al Goldoni e contro gli alunni de’ cattivi scrittori. Chi vorrá prendersi la briga di leggerlo, troverá le cagioni, le controversie di que’ tempi; troverá una scherzevole ferocia e (posso dirlo con un’umile franchezza) troverá una incontrastabile veritá.

Il foglio settimo posto alla pagina cinquantotto, ch’è il confronto fatto da me dell’anonimo autore francese del Genio con la traduzione del Chiari, atto a mortificare un uomo di porfido, fece il gran prodigio di mortificare anche il Chiari. La lettera d’un seminarista a me diretta posta alla pagina centoquattro, e la risposta mia alla pagina centonove, a me sembrano efficaci, non indegne d’essere lette e considerate anche al proposito de’ tempi ne’ quali si troviamo oggidí.

Due sermoni cristiani d’esortazione, in versi sciolti, posti nel principio dell’opera mia, l’uno indirizzato al Chiari, l’altro al di lui alunno Bordoni, chiusero in casa per la vergogna otto e piú giorni il primo, e fecero disperare e girare per la cittá come discervellato e aombrato il secondo, il quale era un giovine di buon intelletto, ma guasto dall’affezione che aveva a de’ strani princípi.

Nel bollore di quella letteraria battaglia mi vidi innanzi una mattina un nunzio del patrizio veneto Giovanni Donado, esponente che l’Eccellenza Sua voleva favellare con me.