Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/219

Da Wikisource.
212


“Come, signor curato! s’io mi fido? Ella mi fa torto. Ma, siccome il mio nome è sul suo libraccio, dalla parte del debito..... dunque giacchè ella ha già avuto l’incomodo di scrivere una volta, così..... dalla vita alla morte.....”

“Bene bene,” interruppe don Abbondio, e brontolando, tirò a sè un cassetto del tavolino, ne tolse carta, penna e calamaio, e si pose a scrivere, ripetendo a viva voce le parole, a misura che gli uscivano dalla penna. Frattanto Tonio e ad un suo cenno Gervaso, si posero in piedi dinanzi al tavolino in modo di togliere allo scrittore la vista della porta; e come per ozio andavano soffregando coi piedi il pavimento, per dar segno a quei di fuori che entrassero, e per confondere nello stesso tempo il romore delle loro pedate. Don Abbondio attuffato nella sua scrittura non badava ad altro. Al fruscio dei quattro piedi, Renzo prese un braccio di Lucia, lo strinse per darle coraggio, e si mosse traendosela dietro tutta tremante, che da per sè non vi si sarebbe potuta condurre. Entrarono pian piano, in punta di piedi, comprimendo il respiro, e si collocarono dietro i due fratelli. Intanto don Abbondio, finito di scrivere, rilesse attentamente, senza sollevar gli occhi