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324 IL BUON CUORE


Apparve dapprima una donna bianco vestita e tutta coperta d’un velo pur esso bianco. Fu condotta presso un albero e legata a quello a mezzo il corpo. Allora uno schiavo le strappò il velo e gli spettatori poterono ravvisare la sua figura d’una beltà perfetta, ma pallida rassegnata.

Non ostante il suo titolo di cristiana, la giovane fanciulla al primo aspetto aveva commosso l’animo di quella folla sì impressionabile, ma altrettanto mutabile; mentre tutti gli occhi erano fissi su lei, s’aprì una porta ed entrò un giovine. Era costume d’esporre così alle bestie un cristiano ed una cristiana, prestando all’uomo tutti i mezzi di difesa, affinchè il desiderio di ritardare non solo la propria morte, ma quella ancora della compagna (in cui luogo si sceglieva sempre una sorella o la madre che avrebbero infuso al fratello o al figlio un nuovo coraggio) prolungasse la lotta, cui però i cristiani rifiuta. vano quasi sempre per amore del martirio, per quanto sapessero che trionfando sui tre primi animali spinti loro incontro, andavano salvi.

In effetto, benchè quest’uomo, di cui a prima vista era facile scoprire il vigore e la flessibilità, fosse seguito da due schiavi, de’ quali uno portava una spada due giavellotti, e l’altro teneva per mano un corsiero Numida, non parve punto disposto a dare al popolo lo spettacolo della lotta che aspettava. Si avanzò lentamente nel Circo, girò intorno uno sguardo calmo e sicuro, poi facendo segno colla mano che il cavallo e le armi erano inutili, guardò il cielo, cadde ginocchioni si mise a pregare. Allora il popolo deluso nella sua aspettazione, cominciò a minacciare e a ruggire; era una lotta e non un martirio ch’era venuto a vedere, e le grida: alla croce! alla croce! si fecero sentire. A queste voci un raggio d’ineffabile gioia si vide negli occhi del giovane e distese le braccia in segno di ringraziamento, beato di morire della morte del Salvatore.

Intanto sentì dietro a sè un sì profondo sospiro, per cui si rivolse: «Sila, Sila, mio fratello», mormorò la giovine. «Atta!» gridò il giovane nell’alzarsi e precipitarsi verso di quella. «Sila, abbi pietà di me», disse Atta; «allorchè io ti riconobbi, un senso di speranza entrò nel mio cuore.... Tu sei destro e forte o Sila; forse se tu avessi combattuto, saremmo restati salvi entrambi...».

«E il martirio?» interruppe Sila, indicando il cielo.

«E il dolore?», disse Atta, lasciando cadere il capo innanzi. «Oh, ch’io non sono come tu, nata in una città santa; io non ho punto intesa la parola di vita dalla bocca di Colui per cui noi andiamo a morire. Io sono una fanciulla di Corinto allevata nella religione dei miei padri; la mia fede e la mia credenza sono recenti; la parola — martirio — non mi è nota che da ieri; forse avrei ancor io per me del coraggio, se però, mi fosse dato vedere Sila morir innanzi a me di questa morte lenta e crudele».

«Ebbene, combatterò», rispose Sila; «perchè io sono sempre sicuro di trovare anche più tardi la gioia che tu mi togli quest’oggi». Quindi facendo un segno agli schiavi: a il mio cavallo, la mia spada, le mie saette!» disse ad alta voce e con un gesto imperioso. La

moltitudine si mise a battere le mani, avendo compreso, a quella voce e a quel gesto, che era ammessa a vedere una di quelle lotte erculee quali abbisognavano per risvegliare le sue sensazioni infiacchite dai combattimeni ordinarii. Sila si appressò dapprima al cavallo; era come lui un figlio dell’Arabia. Quindi strappò di dosso dalla bocca del suo compagno la sella e la briglia che i Romani avevangli posto.

Alla sua volta, quindi si sbarazzò di ciò che il suo costume aveva di impaccio; e attortigliando il mantello rosso intorno al braccio sinistro, restò colla sua tunica col suo turbante. Allora cinse la spada, afferrò i giavellotti, diè la voce al cavallo, che obbedì, docile come una gazzella, e saltandogli in groppa, fece, curvandosi sul collo e senz’altro mezzo per dirigerlo, che quello dei proprii ginocchi e della voce, tre giri intorno all’albero a cui stava legata Atta; l’orgoglio dell’Arabo veniva a prendere il sopravvento sull’umiltà del cristiano.

Frattanto s’aprì sotto al podium (palco) una porta a due battenti, e un toro di Cordova incitato dagli schiavi entrò muggendo nel Circo. Ma dati appena dieci passi, spaventato dalla gran luce, dalla vista degli spettatori dalle grida della moltitudine, piegò sulle ginocchia anteriori, abbassò il capo fino a terra e dirigendo sopra Sila i suoi occhi stupidi e feroci, cominciò coi piedi davanti a lanciar sabbia contro il proprio ventre, a scalfire la terra colle corna ed a mandar fumo dalle nari. Quindi uno dei maestri (dei giuochi del Circo) lanciò contro all’animale un fantoccio inbottito di paglia somigliante a un uomo; il toro subito vi corse sotto e lo ridusse sotto i piedi; ma nel momento in cui era più aizzato contro quello, un giavellotto partì fischiando da Sila, e andò a ficcarsi nella sua spalla. Il toro mandò un muggito di dolore; poscia abbandonando il finto nemico per l’avversario reale, s’avanzò sopra il Siro, rapido, a capo basso e tracciando sull’arena un solco di sangue. Questo lo lasciò tranquillamente avvicinarsi; indi non essendo più che a qualche passo di distanza, coll’aiuto della voce e delle ginocchia, fece fare un salto di costa alla sua leggera cavalcatura, e mentre il toro passava trasportato dalla corsa, il secondo giavellotto andò a nascondergli ne’ fianchi le sei dita di ferro; l’animale si arrestò fremente su’ suoi quattro piedi come se fosse per cadere; poi rivoltandosi tosto, si precipitò sul cavallo e sul cavaliere; ma quelli si diedero a fuggirgli innanzi come portati da un turbine.

Girarono così per ben tre volte l’anfiteatro, il toro indebolendosi ad ogni giro e perdendo terreno mentre inseguiva il cavallo ed il cavaliere; al terzo giro finalmente cadde sulle proprie ginocchia; senonchè quasi subito rialzandosi mandò un terribile muggito; e quasi avesse perduta la speranza di raggiungere Sila, diè uno sguardo all’intorno per vedere se gli fosse dato di trovare qualche altra vittima su cui sfogare la sua collera; fu allora che scoprì Atta. Sembrò dubitasse un istante che quella fosse un essere animato, tanto la sua immobilità e pallore davanle l’aspetto di una statua; ma subito tendendo il collo e aprendo le nari aspirò l’aria che veniva da quella. Subito raccolte tutte le proprie