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IL BUON CUORE 325


forze si slanciò diretto sulla giovine. Essa Io vide venire e diede un grido di terrore; ma Sila era attento su lei; egli alla sua volta si diresse contro il toro che sembrava fuggirlo, cui però con qualche salto del fedele Numida potè raggiungere.

Allora dal dorso del suo cavallo saltò su quello del toro, e mentre col braccio sinistro lo afferra per un corno torcendogli il collo, coll’altra gli caccia la spada in gola fino all’impugnatura: il toro scannato cadde spirante a mezza lancia da Atta: ma Atta aveva chiusi gli occhi aspettando la morte, e solo gli applausi del Circo le annunciarono la prima vittoria di Sila.

Entrano quindi nel Circo tre schiavi; due conduce. vano ciascuno un cavallo cui attaccarono al toro per strascinarlo fuori dell’anfiteatro; il terzo portava una coppa ed un’anfora; empì la coppa e la presento al giovane Siro. Costui bagnò appena le labbra e domandò altre armi; gli si recò un arco, delle frecce e uno spiedo. Quindi, tutti si affrettarono ad escire; perchè al di sotto del tropo aprivasi un inferriata, e un leone dell’Atlante uscendo dalla sua gabbia entrava maestosamente nel Circo; appariva il vero re della creazione, perchè, al ruggito con cui salutò il giorno, tutti gli spettatori fremettero, e lo stesso corsiero, diffidando la prima volta della leggerezza delle sue gambe, rispose con un nitrito di terrore. Sila solo, abituato a questa voce possente per averla intesa risuonare più d’una volta nei deserti che si stendono dal Mar Morto alle sorgenti di Mosè, si dispose alla difesa o all’attacco, riparando dietro l’albero più vicino a quello a cui stava legata Atta e accomodando sul suo arco la migliore e più acuta delle sue saette. Intanto il suo nobile e potente nemico avanzavasi lento e sicuro, ignorando ciò che aspettavasi da lui, raggrinzando le rughe della sua larga faccia e sferzando la sabbia colla coda. Allora per provocarlo i maestri gli gettarono dardi rintuzzati con banderuole a differenti colori; ma quello impassibile e grave sempre più avanzavasi non inquietandosi per questi scherzi; quando ad un tratto in mezzo ai dardi inoffensivi una freccia acuta e fischiante passò come un lampo e andò a ficcarsi in una delle sue spalle. S’arrestò pertanto d’un tratto con più sorpresa che dolore e quasi non sapesse capacitarsi che un essere umano fosse abbastanza ardito di attaccarlo, dubitava ancora della sua ferita; ma subito i suoi occhi si fecero sanguigni, la sua bocca si spalancò, scappandogli come da una caverna dal fondo del suo stomaco un ruggito grave e prolungato simile al fragore del tuono; afferrò il dardo infitto nella piaga e lo spezzò coi denti; indi gettando intorno a sè uno sguardo che, malgrado l’inferriata che proteggeali fè rinculare gli spettatori stessi, cercò un oggetto su cui far cadere la sua real collera. In questo momento scorse il corsiero fremente quasi escisse da uno stagno ghiacciato benchè fosse coperto di sudore e schiuma; e cessando di ruggire per mandare un grido corto, acuto e reiterato, diè un salto che l’avvicinò venti passi alla prima vittima da lui scelta.

Un secondo salto avvicinò il leone al cavallo il quale rinculate sino all’estremità del Circo non osando fuggire nè a sinistra nè a destra, si slanciò all’opposto

del suo nemico che si mise a inseguirlo con salti ineguali rizzando la criniera e dando grida acute di quando in quando, cui il fuggitivo rispondeva con nitriti di spavento. Tre volte si vide passar come un’ombra, come un’apparizione il rapido figlio Numida e tutte le volte senza che il leone sembrasse sforzarsi a seguirlo, si avvicinò a quello che inseguiva finchè restringendo sempre il cerchio, si trovò a correre parallelamente con lui. Finalmente il cavallo vedendo che non poteva più sfuggire al suo nemico, d’un colpo s’alzò lungo l’inferriata battendo convulsivamente l’aria coi piedi anteriori; allora il leone a passo lento s’avvicinò come un vincitore sulla vittima arrestandosi di tempo in tempo per ruggire, scuotere la criniera e graffiare alternativamente l’arena con le zampe. Il corsiero malaugurato, affasci, nato come sono, (dicesi), i daini e le gazze alla vista d’un serpente, cadde dibattendosi e rotolò sulla sabbia agonizzante pel terrore.

In quel frattempo un secondo dardo partì dall’arco di Sila e andò a ficcarsi profondo nelle coste del leone; l’uomo veniva in soccorso del corsiero richiamando sopra di sè la collera che aveva declinata per un istante.

Il leone si volse indietro, giacche cominciava ad accorgersi d’avere nel Circo un nemico più formidabile di quello che soggiogava col solo sguardo; fu allora che scorse Sila il quale traeva dalla cintura una terza freccia e l’addattava sulla corda dell’arco; si fermò un istante in faccia all’uomo questo vero re della creazione. Quell’istante bastò al Siro per inviare al suo nemico il terzo dardo messaggero di dolore che attraversò la pelle mobile della faccia e andò a infiggersi nel capo. Quello che avvenne dopo, fu allora rapido come una visione; il leone si slanciò sull’uomo, l’uomo lo ricevette sul suo spiedo, poi l’uomo e il leone rotolarono insieme; si videro volare pezzi di carne e gli spettatori più vicini si sentirono inumiditi da una pioggia di sangue. Atta mandò un grido di saluto al fratello, essa non aveva più difensore, ma non aveva più neppure un nemico: il leone era sopravissuto all’uomo solo per bastare alla sua vendetta. Quanto al cavallo era morto senza che il leone pur lo toccasse.

Gli schiavi rientrarono e tra le grida e gli applausi frenetici della moltitudine trasportarono il cadavere dell’uomo e dell’animale. Allora tutti gli occhi si riportarono su Atta, cui la morte di Sila aveva lasciata senza difesa. Finchè aveva veduto suo fratello vivente, nutrì speranze per sè stessa. Ma vedendolo cadere aveva compreso tutto esser finito, ed essa aveva tentato di mormorar preghiere le quali spegnevansi in suoni inarticolati sulle sue labbra pallide e mute. Però, contro il solito, in quella folla eravi simpatia per lei conosciuta dai costumi per una Greca mentre dapprima era stata creduta Giudea. Le donne e i giovani a preferenza cominciavano a mormorare e alcuni spettatori alzavansi a domandare grazia per lei, quando le grida: a Seduti! Seduti» si fecero sentire dai gradini superiori; si era tolta un’inferriata e una tigre si slanciò nell’arena.

Appena escita dalla gabbia la tigre si coricò per terra, ma senza inquietudine e senza sbalordimento; poi aspirò