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326 IL BUON CUORE


te, alla debolezza della donna, alla mancanza di scienza religiosa, d’educazione sana e pia, sa trovare modo di perdonare. Gesù che perdona, sa trovare modo di guarirla, elevandola. O lettori, credete voi possibile che quella donna sia ricaduta, dopo la preghiera di Gesà «va’ e non voler più peccare!» Lapidata, conteremmo una vittima di più della giustizia, perchinata da Gesù, abbiamo non uno, ma mille e mille trionfi della sua oculata giustizia e misericordia.

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E ’così ha fatto Gesù, al quale nessuno potrà mai rimproverare debolezza qualsiasi. Gesù — giusto — sa valutare i rigidi diritti della legge e le scuse delle nostre infermità, che ovunque, sempre, continuamente ci accompagnano. Niuna situazione ci salva da questo genere di miserie... niuna forza di umano volere, niuna forza di educazione od ambiente amano per quanto scelto e migliore. Se nelle minori classi imperversa e ci fa orrore l’impudenza e la sfacciata ostentazione del vizio, forse è più deleterio, forse più disastrosa là dove la volgarità più meschina ed orribile si presenta vellutata e con forme eleganti e piacenti. Siamo umani e di conseguenza erriamo. Ma contro chi cade non lanciamo la pietra... non zeliamo l’impostura. Dura come è, colpisce a morte; ciò che soddisfa la legge di pietra ed il criterio egoistico del mondo. Ma oggi noi siamo nella legge di grazia, nella legge di amore, di vita: di grazia per chi erra, traviato dalle mille insidie fra cui ci muoviamo: di amore per l’uomo che ha di questa sana soavissima forza, indispensabile, assoluto biisogno: non confonderà oggi l’amore vero con le false ed orribili sostituzioni delle febbri della carne e del sangue: di vita perchè con Cristo dobbiamo vivere, sentendo della vita la poesia infinita... Con Cristo bella è la vita. R. B.

Nei paesi del ferro e dell’oro L’emigrazione italiana nella Lorena

PER LA VERITÀ

Il viaggiatore che da Metz, capitale della Lorena tedesca, risale per la valle dell’Orne, in quel lembo di terra che forma la parte nord del dipartimento della Meurthe et Moselle, si meraviglia nel vedere come ín una decina di anni questi paesi francesi abbiano potuto trasformare la loro quieta attività agricola in una produzione industriale febbrile. Causa non ultima di questo rapido evolversi di attività fu l’affluire della mano d’opera italiana, per sfruttare i grandi giacimenti di ferro che si estendono, come

corazza immensa, in tutti il sottosuolo. Gli italiani che si trovano nei due bacini limitrofi di Briey c di Lonwy oltrepassano i 50.000, rappresentando un contingente al certo superiore del 65 per cento della mano d’opera indigena e forestiera. Il giornale parigino La Croix consacrava recentemente due lunghi articoli per rilevare nell’uno la ricchezza materiale e la crisi morale di questo bacino minerario, nell’altro riflettere la situazione dal punto di vista religioso. La cosa non meriterebbe rilievo, non fosse che l’egregio articolista parigino, nella brevissima permanenza fatta in questo centro operaio, non ebbe modo di rendersi chiaro conto della situazione, e per le informazioni troppo personali cadde in molte inesattezze, sopratutto al riguardo degli italiani. E per la semplice verità quindi, anche annunciando i cortesi lettori, cerco di sfatare le accuse, che con troppa facilità vengono lanciate sui nostri poveri connazionali emigrati.

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La produzione del minerale di ferro che nel 1905 era di circa quattro milioni di tonnellate, oltrepasserà quest’anno i 17 milioni, dei quali i due terzi verranno lavorati nei 96 alti forni eretti alla estremità del bacino, un terzo inviato all’estero. Questo enorme aumento di produzione e sopratutto il lavoro al fondo della miniera, a circa zoo metri sotto il suolo, reclama le braccia straniere. «I bretoni — dice l’egregio articolista -- non vollero acclimatarsi; la Francia, troppo scarsa di gioventù, non ne potè fornire, le masse operaie immigrarono dalla Spagna, dalla Germania e sopratutto dall’Italia. Si produsse così il fenomeno doloroso che acompagna sempre la rapida creazione di nuovi centri industriali. Simili agglomeramenti eterogenei, differenti per lingua, religione, costumi, non seppero e non poterono nel breve periodo di pochi anni fondersi e creare un ambiente di vita calma e serena. La massa emigratoria essendo poi in parte costituita da elementi alquanto torbidi, abbrutita dal genere stesso di lavoro cui è addetta, non curata affatto dal lato morale e igienico e in minima parte dal lato religioso (e questo per cause che andrò esponendo), evidentemente è portata a trascurare i due capisaldi di ogni vivere sociale: il rispetto della legge naturale e dell’istituto della famiglia. Di qui la immoralità e l’irreligione». Continua l’egregio articolista con questi periodi che meritano una trascrizione esatta: «La mano d’opera italiana che rappresenta in certe miniere fino all’8o per cento degli operai, è un vero popolo posatosi in mezzo ad un altro. Ma per un fenomeno che purtroppo avviene nei grandi centri d’immigrazione, gli stranieri, trasportati lungi dalla loro chiesuola nativa, sono portati, o per timidità, o per negligenza, o per rispetto umano a trascurare la loro vita religiosa. Qui poi ove i ’villaggi operai sono distanti dalla chiesa, dove la po