Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 18 - 2 maggio 1914.pdf/2

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Nel 1884 il cav. Gamurrini scoperse nella biblioteca d’Arezzo, e qualche anno dopo pubblicò un manoscritto ^he conteneva la relazione di un viaggio fatto da una signora per visitare l’Egitto e i Luoghi santi di Palestina onde scoprirvi, se fosse stato possibile, dei ricordi biblici e raccogliervi tradizioni circa la vita del Signore. Questo che chiameremmo «giornale di viaggio» dovette essere redatto verso il 388, e noi dobbiamo essere tanto più riconoscenti alla sua autrice, in quanto che il prendere note dei viaggi che si facevano, era nel secolo quarto cosa molto rara. Per altra parte la viaggiatrice ci si mostra dotata di un gran talento di osservazione, e qualunque il suo stile non sia quello di un letterato di professione, scrive però con una semplicità che non è priva di grazia, e con un garbo che ’rivela la signora di mondo. Disgraziatamente il suo giornale di viaggio non ci è arrivato intiero, e in ’quella parte che conosciamo l’autrice non ci dà sula sua persona nessun ragguaglio. Si supponeva fino a non molti anni fa ch essa fosse stata Silvia, la sorella del famoso Rufino, e lo scritto di cui parliamo era perciò conosciuto sotto il nome di «Peregrinatio Silvia». Ma ora sembra accertato che l’incognita viaggiatrice fosse invece una spagnuola di nome Egeria». Checchè ne sia del nome, della patria e della qualità dell’autrice, è certo che il suo diario ha una importanza di prim’ordine per la storia della liturgia, e in particolare per poter ricostruire fin nelle più piccole particolarità le funzioni della Settimana Santa quali si celebravano a Gerusalemme verso la fine del secolo quarto, mentre prima non possedevamo su questo cosi importante argomento altro che delle indicazioni sparse e non sempre precise. La Quaresima ai tempi di Egeria, contava, a Gerusalemme, quaranta giorni di digiuno distribuiti in otto settimane, essendo, al solito, le domeniche ed i sabati esclusi dal digiuno. Di questo non abbiamo altro da dire, avendone già parlato su queste stesse colonne in un articolo precedente. Segnaleremo però la particolarità che presenta la celebrazione di uno dei giorni della Quaresima, e precisamente del sabato della settima settimana, che corrisponderebbe a quello che noi chiamiamo il sabato di Passione. A Gerusalemme lo si chiamava e Sabato di Lazaro». Verso un’ora del pomeriggio si partiva da Gerusalemme in processione dirigendosi verso BetInia. Sulla strada si incontrava una chiesa costruita nel luogo ove, secondo la tradizione, Maria sorella di Lazaro aveva parlato al Signore. Il vescovo, che dirigeva e apriva la processione, entrava in quella chiesa seguito dai monaci e poi dal popolo. Vi si cantava un inno e un’antifona, si leggeva quel tratto del Vangelo San Giovanni ove è raccontato l’incontro di Gesù con;a sorella di Lazaro, poi il vescovo recitava una preAiera e benediceva il popolo. Allora la processione si imetteva in cammino e arrivava alla chiesa di Lazaro fahbricita sul luogo ove era stato sepolto e risuscitato

il discepolo del Signore. Anche li si cantavano inni e antifone speciali, e si finiva con la lettura del capitolo XII di S. Giovanni. La «Domenica delle Palme» era celebrata a Gerusalemme con una solennità straordinaria, e fin da lungi accorrevano i fedeli per assistere a quelle sacre commoventi cerimonie. Alle cinque della sera, è sempre la nostra viaggiatrice che ce ne informa, tutto il popolo si recava alla chiesa dell’Ascensione che sorgeva sulla cima del monte Oliveto. Vi si leggeva, nel Vangelo di S. Matteo, il racconto dell’entrata di Cristo in Gerusalemme. Allora il vescovo, seguito dal popolo usciva dalla chiesa e si cantavano inni e antifone appropriate alla circostanza, e vi si alternavano continuamente le parole: «Benedictus qui venit in nomine Domini». I fanciulli, anzi i bambini stessi che non potevano ancor camminare, assistevano alla funzione portati nelle braccia dalle loro madri, e tenevano nelle loro manine dei piccoli rami d’olivo o di palma: il vescovo cavalcava un asino, e quando la processione era ritornata alla città, era ornai notte fatta, e si andava a celebrare l’ufficio vespertino nella basilica della Risurrezione. Il lunedì e il martedì santo, l’ufficiatura non presentava grandi differenze da quella dei giorni ordinari di Quaresima. Nel mercoledi sera, dopo l’ufficio, si andava nella chiesa della Risurrezione, che conteneva la grotta del Santo Sepolcro. Un prete leggeva nel Vangelo il passo che racconta il tradimento di Giuda. E questa lettura, ci dice Egeria, non mancava mai di eccitare i gemiti ed i singhiozzi del popolo. Il giovedi, alle due dopo mezzogiorno, si celebrava un ufficio nella chiesa del Golgota, costruita nel luogo della Crocefissione. Alle quattro si diceva una Messa e tutti i fedeli partecipavan alla Comunione. Era questa evidentemente la Messa che doveva ricordare l’ultima cena, e che nella liturgia attuale è stata riportaa al mattino. Verso le sette di sera dello stesso giorno si celebrava un nuovo ufficio per ricordar la orazione nell’orto la quale appunto tenne dietro immediatamente all’ultima cena. Al tempo di Egeria vi erano due chiese sul monte degli Olivi, la chiesa di «Eleona» in vicinanza di una grotta ove, secondo la tradizione, il Cristo usava ritirarsi e intrattenersi coi suoi discepoli, l’altra dell’«Agonia» e in questo appunto si recava il ppoolo e vi passava la notte in preghiere, seguendo e in certo modo riproducendo tutte le fasi del gran dramma della Passione. Si andava nel giardino di Getsemani, ove al lume delle torcie veniva leto il passo del Vangelo che racconta la cattura del Signore. «A questa funzione notturna nessuno manca, ci fa notare Egeria, nè poveri nè ricchi, nè uomini nè donne. Ed è tanta la commozione dei fedeli alle preghiere, alle cerimonie, alla vista dei luoghi che suscitano tante memorie, che tutti scoppiano in singhiozzi, ed i gemiti si fanno sentire fino a Gerusalemme.» In città non si ritornava se non all’alba del giorno se