Pagina:Iliade (Monti).djvu/422

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v.117 libro decimosesto 89

Dai Greci onore, e che la bella schiava
Con doni eletti alfin mi sia renduta.
Cacciati i Teucri, fa ritorno: e s’anco
L’altitonante di Giunon marito120
Ti prometta vittoria, incauta brama
Di pugnar senza me con quei gagliardi
Non ti seduca, nè voler ch’io colga
Di ciò vergogna e disonor: nè spinto
Dall’ardor della pugna alle fatali125
Dardanie mura avvicinar le schiere
Della strage de’ Teucri insuperbito;
Onde non scenda dall’Olimpo un qualche
Immortale a tuo danno. Essi son cari,
Non obblïarlo, al saettante Apollo.130
Posti in salvo i navili, immantinente
Dunque dà volta, e lascia ambo a vicenda
Struggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!
E tu di Delo arciero Iddio, deh fate
Che nessun possa nè Troian nè Greco135
Schivar morte, nessuno; onde del sacro
Ilïaco muro la caduta sia
Di noi due soli preservati il vanto.
   Mentre seguían tra lor queste parole
Aiace omai cedea l’arena oppresso140
Da gran selva di strali. Rintuzzava
Le sue forze il voler di Giove e il nembo
Delle teucre saette. Il rilucente
Elmo percosso un suon mettea che orrendo
Gl’intronava le tempie, ed incessante145
Sovra i chiavelli il martellar cadea.
Langue spossata la sinistra spalla
Dall’assiduo maneggio affaticata
Del versatile scudo. E tuttavolta
Nè la calca premente, nè de’ colpi150