Pagina:Iliade (Monti).djvu/535

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202 iliade v.289

Assáraco ebbe Capi, e Capi Anchise,
Mio genitore, e Príamo il divo Ettorre.290
Ecco il sangue ch’io vanto. Il resto scende
Tutto da Giove che ne’ petti umani
Il valor cresce o scema a suo talento,
Potentissimo iddio. Ma tregua omai
Fra l’armi a borie fanciullesche. Entrambi295
Possiam d’ingiurie aver dovizia e tanta
Che nave non potría di cento remi
Levarne il pondo. De’ mortai volubile
È la lingua, e ne piovono parole
D’ogni maniera in largo campo, e quale300
Dirai motto, cotal ti fia rimesso.
Ma perchè d’onte tenzonar siccome
Stizzose femminette che nel mezzo
Della via si rabbuffano, col vero,
Spinte dall’ira, affastellando il falso?305
Me qui pronto a pugnar non distorrai
Colle minacce dal cimento. Or via
Alle prove dell’asta. - E così detto,
La ferrea lancia fulminò nel vasto
Terribile brocchier che dell’acuta310
Cuspide al picchio rimugghiò. Turbossi
Il Pelíde, e dal petto colla forte
Mano lo scudo allontanò, temendo
Nol trafori la lunga ombrosa lancia
Del magnanimo Enea. Di mente uscito315
Eragli, stolto! che mortal possanza
Difficilmente doma armi divine.
Non ruppe la gagliarda asta troiana
Il pavese achilléo, chè la rattenne
Dell’aurea piastra l’immortal fattura,320
E sol due falde ne forò di cinque
Che Vulcano v’avea l’una sull’altra