Pagina:Iliade (Monti).djvu/574

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v.115 libro ventesimosecondo 241

Tua consorte: e tu lungi appo le navi115
Giacerai degli Achivi, esca alle belve.
   Questi preghi di lagrime interrotti
Porgono al figlio i dolorosi, e nulla
Persuadon l’eroe che fermo attende
Lo smisurato già vicino Achille.120
Quale in tana di tristi erbe pasciuto
Fero colúbro il vïandante aspetta,
E gonfio di grand’ira, orribilmente
Guatando intorno, nelle sue latébre
Lubrico si convolve; e tale il duce125
Troian, di sdegni generosi acceso,
Appoggiato lo scudo a una sporgente
Torre, sta saldo; e nel gran cor rivolge
Questi pensieri: Che farò? Se metto
Là dentro il piè, Polidamante il primo130
Rampognerammi acerbo, ei che la scorsa
Notte esortommi alla città ritrarre,
Comparso Achille, i Teucri; ed io nol feci:
E sì quest’era il meglio. Or che la mia
Pertinacia fatal tutti li trasse135
Nella ruina, sostener l’aspetto
Più non oso de’ Troi nè dell’altere
Troiane, e parmi già i peggiori udire:
Ecco là quell’Ettór che di sue forze
Troppo fidando il popolo distrusse.140
Così diranno, e meglio allor mi fia
Combattere, e redir, prostrato Achille,
Nella cittade, o per la patria mia
Aver qui morte glorïosa io stesso.
Pur se deposto e scudo e lancia ed elmo,145
Io medesmo mi fessi incontro a questo
Magnanimo rivale, e la spartana
Donna cagion di tanta guerra, e tutte

Iliade, Vol. II 16