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lapis rosso, il signor Salmojraghi. Il quale, dapprincipio, non voleva capire; ma, poi, dovette capire e persuadersi della verità dell’accusa. Gabrio amava calda e saldamente la moglie, ma ci vedeva; e non era, ancora, ridotto a passare le giornate, sonnecchiando, come il marito dell’Almerinda.

                    . . . . . . . . Oh rabbia!
          Dunque, il sospetto? – È, ornai, certezza! – E inulto
          Filippo è, ancor? . . .


XII.


Si narra d’un celibe, che, ogni sera, prima d’entrare fra le lenzuola, recitato il rosario, soggiungeva questa preghiera: — «Dio mio, padre nostro, che siete ne’ cieli, fate, ch’io non m’innamori; o, se m’innamoro, ch’io non mi ammogli; o, se m’ammoglio, ch’io non sia becco; o, se son becco, ch’io non me n’accorga; o, se me ne accorgo, ch’io non me ne adiri; o, se me ne adiro, che io non ne tocchi, giunta.» — Il Salmojraghi, che aveva fatta la sciocchezza d’inbertonarsi e lo sproposito d’inussorarsi; ora, che gli facevan le fusa torte, ebbe l’imprudenza d’accorgersene e la sguajataggine d’impermalirsene. Si rodeva di rabbia, internamente;