Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/102

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tutta l’intima essenza d’un concetto afferrato con sicurezza sintetica e profonda. La sua tavolozza è lussureggiante di tinte sfumate illimitatamente da una fantasia sbrigliata e gentile. Dei, ninfe, mostri, maghi, fate, castellane, paggi, genii secolari, larve romantiche — visioni di bellezza, d’arte, di paesi ideali — sfilano nella melodia del verso, fra le garze d’oro del simbolo, nella luce velata e dolce delle età passate.

Vorrei poter dare un’idea dei versi sciolti robusti e armoniosi che compongono la «Favola» e «La poesia Georgica» — due frammenti che sembrano di un marmo di Prassitele; dare un’idea della grandiosità sobria ed efficace che informa «Saturno» e «Il fiume selvaggio», della gemmata eleganza d’una «Sestina nuziale», della fantasia che azzurreggia nella «Visione di Franz Liszt» e nella «Nascita del Minotauro», dell’appassionata mestizia d’alcuni sonetti, del lirismo dolce e melanconico delle «Elegie d’ottobre», del ritmo carezzevole del «Valtzer mortale», delle iridescenze che rivestono d’un fulgore di rosa e di viola i tre brevi componimenti: «Sirene» — «Perle» — «Lagrime», e pennelleggiano variamente pensieri, accenti, visioni in pochi versi senza titolo riuniti in gruppi come fiori; ma non mi è possibile perchè dovrei trascrivere mezzo libro. Pure non so rifiutarmi il piacere di ridire ancora qualche verso:

La vecchietta filando, e sorridendo
come può solo la senil dolcezza,
mi narrava le fiabe, e ridicea
pur col tremulo labbro le canzoni
del suo bel tempo. La vecchietta avea
nome di santa; nonna ella non era,
anzi nè dato avea bacio di sposa.
Con piacere io l’udia; socchiusi i cigli,