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ARATO DA TARSO


PUGNA COLLO SPIRITO DI TEMESSA

«A che sì ratta, di’, corre la folla
     D’ogni intorno a quel tempio?
     È forse questo giorno al sommo Giove,
     4Od a Minerva sacro?» —
Ben si vede, o stranier, che mai sinora
     Tu non fosti in Temessa:
     Con gioja ognor solennizziam la festa
     8Sia di Giove o Minerva.
Ma non v’ha ciglio, che pianto non versi
     Oggi al barbaro rito;
     Ch’ora meniam delle vergini nostre
     12Al Demon la più bella! —
Quel Demon che nome ha? Vecchio, tu piangi
     Forse quella donzella
     Giunta ti è dai nodi di parentela?
     16Onde vi vien tal uso?»
Senti! Quando alfine, dopo dieci anni
     Di sanguinosa guerra,
     La superba Troja distrutta, i Greci
     20Tornaro al patrio nido:
Il glorioso figliuolo di Laerte,
     In odio al Re de’ mari,
     Altri dieci anni errò sull’onde infide,
     24Di sua patria lontano.
Cedendo ai preghi dei compagni lassi,
     Egli approdò talvolta:
     Così, da orrenda procella spossato,
     28Un dì qui terra prese.
Lor ministra l’opimo suolo e frutta
     E vino in abbondanza,
     E ozio dolce, talora più nocivo
     32Che le cruente zuffe.
E colà giuso, ove alzasi quel tempio,
     Servo ch’era pur saggio,
     Spinto dal vino, che lo spirto accieca,
     36Una donzella offese.
D’ira accesa, senza indugiar, la folla
     L’offenditor circonda,
     E prima ch’alcun potesse acquetarla
     40Nel suo furor l’uccide.
E maggior danni prevedendo Ulisse
     Spiegò le vele al vento;
     E l’insepolta salma in preda stette
     44Agli avoltoi e ai cani.
Scorse tre lune appena, dell’ucciso
     Lo Spirto vendicossi
     De’ Temessei: passò di rado un giorno
     48Senza fiera sventura.
Un dì, del vicin fiume in sulla riva,
     Lieta cuna dei grilli,
     Stuol di fanciulli di bei fiori ornati,
     52Al lor canto danzava.
Quando dal bosco accorre ingorda lupa
     E, sei di vita orbati,
     Nell’ampie fauci l’ultimo strascina
     56All’affamata prole....