Pagina:La Vita Ai Tempi Eroici Di Persia, Uffizio della Rassegna Nazionale, 1885.djvu/11

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AI TEMPI EROICI DI PERSIA 9

se e il convito durava solitamente per sette giorni, finchè poi l’educatore del giovane principe ritornava al suo castello colmo di doni reali e al giovinetto si dava il governo di qualche provincia, con quasi regia potestà, con tutte le insegne reali, eccettuati però la corona e il trono. Senonchè, preparandosi ormai il giovane eroe alla sua carriera militare, egli doveva tosto provvedersi d’armi e di destriero. Il padre allora soleva aprir le porte de’ suoi tesori e trarne elmi dorati fabbricati in terra di Grecia, corazze e maglie di finissimo lavoro, schinieri e scudi del Ghilan, spade temprate in India, archi e frecce di Shuster, lancie e pugnali e clave nodose, per farne un nobile presente al figlio suo. Talvolta queste armi si tramandavano di padre in figlio, come lo scettro di Agamennone o l’armi di Egeo che Teseo ereditò, secondo la leggenda greca; e sappiamo che Siyavish portava in guerra quella lancia che già trattava il padre suo Kavus nella guerra contro il Màzenderàn, che Rustem ereditò la clava dal capo di giovenca, effigiato in fulgido metallo, che già apparteneva all’avo suo Sam, temuto sterminatore di demoni, di mostri e di nemici. Ma la cerimonia del procurarsi un palafreno era cosa ben nuova e diversa. Venuto il fausto giorno, per ordine del padre o della madre i guardiani delle mandre dei cavalli, disperse a pascolare per monti e piani, raccoglievano in un luogo assegnato tutti i più giovani e focosi puledri. Scendeva in quel piano il novello cavaliere e si faceva passar dinanzi ad uno ad uno i cavalli per scegliersi il proprio destriero, il futuro compagno delle sue glorie ambite e delle sue imprese designate, e per provarne la forza e il vigore soleva prenderlo avventando un laccio e tirarlo a sè con forza. Gli poneva allora la mano sul collo e premeva fortemente, e se il nobile animale sosteneva il poderoso colpo di mano, il giovane eroe gli poneva la sella e con un salto leggero gli balzava sul dorso. Dice la leggenda, esagerando la forza e il vigore de’ suoi eroi, che alcuni d’essi fiaccarono così la cervice a molti palafreni prima di poter rinvenire quello che poteva sostenerli; così fecero e Rustem e Sohrab. Ma quando ogni prova pareva inutile e il giovane cavaliere non poteva trovar cavalcatura degna di lui, il guardiano delle mandre gli veniva dicendo bellamente e con tutt’arte che egli aveva con sè un nobile puledro, ma che però nessuno aveva potuto imporgli e freno e sella, tanto egli era fiero e selvaggio. S’intende che il cavaliere se ne invogliava rapidamente e seguito dal mandriano si aggirava per i pascoli fino ad incontrarsi con l’indomito puledro. Così, almeno, fece Rustem, il quale dinanzi al suo futuro destriero, selvaggio ancora e ancora