Pagina:La guerra del vespro siciliano.djvu/29

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[1254] del vespro siciliano. 13

propria, l’odian manco. Però in tanto scompiglio ne crebbe la riputazione delle municipalità, e con essa la brama dello stato libero. La quale fors’era più viva in Sicilia che in terraferma, per lo numero delle città grosse, e i meglio raffrenati baroni1.

  1. Il numero delle città grosse era considerevole in Sicilia, molto più che nel regno di Napoli, come io farò osservare in piè del Docum. II.
        È da avvertire che il di Gregorio (Considerazioni su la storia di Sicilia, lib.2, cap. 7; lib. 3, cap. 5, e lib. 4, cap. 3) non sembra molto esatto nelle sue idee su l’importanza de’ comuni siciliani, nei secoli duodecimo e decimoterzo. Forse i tempi sospettosi in cui scrisse questo valente uomo, l’indole morbida, i timori, le speranze, i riguardi di lui, ch’era istoriografo regio e prelato, lo portarono a presentare in tal guisa l’elemento democratico, se così può chiamarsi, dell’antica nostra costituzione. Sforzato dai molti documenti, egli accetta che alcune città avessero proprietà comunali, che le adunanze popolari deliberassero sopra alcuni negozi municipali, ed eleggessero alcuni officiali pubblici; accetta la tendenza, com’ei dice, pericolosissima delle nostre città alle forme repubblicane, e il sospetto che n’avea preso l’imperator Federigo, e le caute concessioni alle quali si mosse; e con tutto ciò, credendo commesso ad officiali regî il maneggio di faccende che piuttosto poteano appartenere a’ magistrati municipali, conchiude assai frettolosamente, che infino a’ tempi di Federigo imperatore non v’ebbero in Sicilia forme municipali propriamente dette; che quegli ne creò un’ombra; e che i comuni non presero stabilità e forza che ai tempi aragonesi. Io credo che ben altro risulterebbe da una ricerca de’ documenti, da una investigazione delle tradizioni storiche, da una istoria infine delle municipalità siciliane, che con tempo, spesa, fatica, si potrebbe compilare. E pur mancando questo lavoro, parmi poter giudicare l’importanza di quelle municipalità nel secolo decimoterzo: in primo luogo dalla loro tendenza repubblicana, evidente ancorchè immatura; e in secondo dall’esistenza delle adunanze popolari, le quali son certamente l’elemento più forte di governo municipale, e poco importano del resto i nomi e gli ufici dei sindichi, giurati, borgomastri o somiglianti magistrati esecutivi. S’aggiunga a questo, che il di Gregorio cita i maestri de’ borghesi ne’ tempi normanni, e poi non ne fa più caso; e che il suo argomento, fondato su poche carte, potrebbe valere forse pei tempi nostri in cui la legge municipale è uniforme e universale, ma non per que’ secoli in cui non v’erano che privilegi speciali, difformi l’un dall’altro, dati in tempi e in circostanze diverse. E ricordinsi infine le parole di Ugone Falcando egregio istorico del secol XII, che narrando la ripugnanza de’ borghesi siciliani a soffrire i dritti pretesi da qualche novello barone francese, li