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Bibulo, al principio della salita di Martorio dalla parte del Macel de’ Corvi, dimostrati nel Tomo II alle Tavole IV e V.

277. Avanzo del Sepolcro della Gente Claudia. Tanto questo sepolcro che l’anzidetto, rimanevano fuori di Roma, prima che Trajano ne dilatasse le mura per comprendervi il suo Foro. E siccome questo Imperadore è stato il primo a ricevere la sepoltura dentro la Città, non si smentisce tal proposizione dal sapersi che i detti due sepolcri sieno stati veduti in Roma prima della di lui morte, perchè egli vi ebbe la tomba per derogazione alla legge proibitiva, e i ridetti sepolcri furono inclusi in Roma per incidenza.

278. Una delle sommità del Monte Capitolino, ov’ erano i Templi di Giove Feretrio e di Marte, sulle rovine de’ quali è inoggi edificata la Chiesa e’l Convento d’ Ara-Cœli. Questi Templi si danno in pianta nella Tavola Icnografica del Monte Capitolino in ordine la XLIV di questo Tomo ai num. 25 e 26.

279. Avanzi delie mura della Rocca Capitolina fabbricate sulla rupe Tarpea opposta alla predetta sommità, e dimostrate nella fig. II della medesima Tavola alle lett. A, B, C, D, E, ed F. Questi avanzi rimangono nel giardino e sotto la scuderia della Casa Cafferelli. La pianta delle antiche fabbriche della detta Ripa si esibisce nella stessa Tavola Icnografica del Monte Capitolino col loro indice consecutivo.

280. Tre Colonne rimase in piedi del Tempio di Castore, e Polluce vicino a S. Maria Liberatrice, e dimostrate nella già detta Tavola XXXIII di questo Tomo alla fig. I. Caligola coll’edifizio della sua casa trasfigurò questo Tempio in di lei vestibolo, come narra Svetonio nella di lui vita al cap. 22, e come si ravvisa nella mentovata Icnografia del Foro Romano al num. 78.

281. Avanzi di muri dello stesso vestibolo ne’granaj al didietro della detta Chiesa di S. Maria Liberatrice, e dimostrati nell’ accennata figura I della Tavola XXXIII.

282. Avanzi del Tablino della Casa Aurea di Nerone, consistenti in alte e gravi mura con tre fornici ornate di compartimenti, come si dimostra nella figura II della predetta Tavola XXXIII, e suppliti in pianta nella Tavola Icnografica del Foro Romano al num. 58. Questo Tablino avea cinque ingressi corrispondenti col di lui atrio scoperto, riferito nel seguente num. 284 di questo Tomo, tre de’ quali ingressi inoggi rimangono in piedi, e son segnati nella detta figura II colle lettere A, B e C. Il di lui prospetto ornato di bozze di stucco additate colla lett. D, rimaneva superiore allo stesso atrio, ed avea due ordini di finestre, di due delle,quali (l’una appartenente all’odierno inferiore, l’altra all’odierno superiore, cioè al timpano) vi restano peranco gli stipiti laterali segnati colle lett. E, ed F. La gran volta di mezzo inoggi rovinata ed accennata nel suo residuo colla lett. G, era sostenuta da magnifiche colonne, una delle quali allora residuale fu dal Pontefice Paolo V fatta torre dal luogo indicalo colla lett. H, e collocare dirimpetto alla Basilica di S. Maria Maggiore per sostegno della Statua enea di Nostra Signora. Vi rimane eziandio l’avanzo del Tribunale notato colla lett. I, e parimente dimostrato nella mentovata Icnografia del Foro Romano. E sotto alle predette tre fornici si veggono varie nicchie ove dovevano esser le immagini d’uomini illustri solite collocarsi ne’Tablini. I moderni Scrittori suppongono, che i predetti avanzi appartenessero al Tempio della Pace, ma senz’averne consideratala forma, la quale sarebbe bastata a ricredergli dalle loro supposizioni. Primieramente perch’ essi non hanno alcuna somiglianza ai templi stati sempre gli stessi, o poco varj appresso gli antichi Romani, giacché non vi si vede veruna figura di cella, nè di portico nò di pronao sostenuto da colonne, come si raccoglie avere avuto il Tempio della Pace dalla Medaglia dell’Erizzo riportala nella stessa fig. II della predetta Tavola XXXII. Secondariamente, perchè non. aveva alcun’ aja all’innanzi, come avevano tult’i templi, imperocché il di lei prospetto era inferiormente impedito dal predetto atrio scoperto, come dimostra la detta Icnografia, e come andiamo a indicare nel seguente numero.

283. Avanzi di muri che formavano una delle ale del predetto atrio scoperto, negli orti di S. Francesca Romana, dimostrati nella stessa fig. II della Tav. XXXIII alle lett. L, ed M, e suppliti in pianta nella Icnografia del Foro Romano al num. 57.

284. Avanzi, al di dietro del Convento di S. Francesca Romana, di due Triclini che rimanevano laterali al Cavedio della detta Casa Aurea, dimostrati nella stessa fig. II della Tav. XXXIII alle lett. N, e O, e suppliti in pianta nella detta Icnografia del Foro Romano al num. 62. I moderni Scrittori gli tengono per i templi d’Iside e Serapide, ovvero del Sole e della Luna. Ma ricorre contro di loro la medesima ragione di non vedersi in tali avanzi alcuna forma di tempio. Né si dica che una nicchia o abside sia bastevole a canonizzare un muro deforme per avanzo di un tempio, perchè questo sarebbe un’ aver poca scienza delle maniere tenute dagli antichi ne’loro edifizj, dacché eglino quasi in tutti facevano degli emicicli e delle nicchie, ed in ispezie negli eci, nell’esedere, e ne’triclinj. Oltredichè si vedono nell’ esterno de’ muri de’ predetti triclinj le vestigia di un tetto, indicate nella detta fig. colla lett. P, il qual tetto copriva le celle contigue agli stessi triclinj; comeppure vi rimangono i segni, ove si appoggiavano le travi che coprivano le medesime celle, indicali nella stessa fig. colla lett. Q. L’uno di questi triclinj, il quale riguardava il Levante, serviva per l’estate. L’altro rivolto a Ponente serviva per il verno.

280. Parte de’ muri della Reggia di Nerone, nella villa Mattei, a S. Pietro in Vincoli, e incontro al Palazzo Sinibaldi.

286. Avanzi de’ muri appartenenti alle celle della delta Casa Aurea negli odierni orti delle Monache di Tor de’ Conti; sotto delle quali celle per mezzo di fornici passava la Via Sacra.

287. Arco trionfale cretto sul Clivo Sacro alle glorie di Tito dopo la di lui morte in memoria della distruzione di Gerosolima, come apparisce dalla seguente iscrizione che si legge nell’ odierno attico del medesimo:

SENATVS
POPVLVSQVE ROMANVS
DIVO TITO DIVI VESPASIANI
VESPASIANO AVGVSTO

Questo si dimostra nella Tav. XXXIV di questo Tomo alla fig. I. Ha nelle partizioni della volta l’Apoteosi dello stesso Imperadore, e ne’ due laterali rappresenta in bassorilievo il di lui trionfo colle spoglie del Tempio di Gerosolima, consistenti nel gran Candelabro, trombe ed altri arredi sacri, notati colla lett. A.

Seguono adesso gli avanzi del Palazzo Imperiale sul Palatino, le di cui vicende nommetio per le variazioni e gli accrescimenti fattivi dai Cesari, che gl’incendj da esso sofferti, hanno sinquì renduta difficile la individua denominazione degli stessi avanzi; per non errar nella quale mi è stato d’uopo di consultare maturamente queltanto che ne riferiscono gli antichi Scrittori. Gioverà perciò premettere in generale, che questo Palazzo si estendeva per tutto il Palatino, e che quantunque ci fosse un solo, come racconta Flavio Giuseppe nel cap. 1 del lib. 19 delle Antichità Giudaiche: Συνημμένη δὲ εκείνη, δια το εν τό βασίλειον ον, ὲπ’ οίκοδομίαις έκαστου των εν τη ήγεμονία γεγονότων άσκηθέν άπό μερους όνοματι των οίκοδομησαμένων, η καί τι μερῶν οίκησεως αρξαντων την έπωνυμίαν παρασχεσθαι. Queste (cioè le abitazioni di Germanico) erano contigue al Palazzo: il quale era uno, ma adorno e distinto con particolari edifizj da tutti gl’ Imperadori, de quali portavano il nome; cosicché non era di una ordinata figura, ma disuguale nella sua estensione e nelle sue appartenenze, come ben dimostrano le di lui reliquie, le quali sono state da me riportate in forma più ampia nella summentovata Icnografia del Foro Romano per maggior discernimento di quelche se ne abbia nella presente Topografia generale.

Ciò premesso, succedono nella stessa Topografia generale gli avanzi indicati co’numeri 289, 290, 291, e 305, corrispondenti alle lettere c, d, e, f della citata Icnografia; l’appartenenza de’ quali avanzi si deduce dal viaggio che nella eleg. 1 del 3 de Tristi fa il libro d’Ovidio allo stesso Palazzo, dicendo:

Paruit: et ducens haec sunt fora Caesaris, inquit,
     Haec est a sacris quae uia nomen habet,
Hic locus est Vestae, qui Pallada seruat et ignem,
     Haec fuit antiqui regia parua Numae.
Inde petens dextram, Porta est, ait ista Palati,
     Hic Stator, hoc primum condita Roma loco est.

In questo viaggio ci si para innanzi primieramente il Foro di Cesare Augusto (e non di Giulio Cesare, come altri credono, imperciocché Ovidio perlopiù chiama Augusto antonomasticamente col solo nome di Augusto). La pianta di un tal Foro rimane nella predetta Icnografia contrassegnata col num. 222; perlochè succedendo nell’ itinerario la Via Sacra se ne vede l’ andamento notato con picciole lince, e distinto col num. 242 accanto allo stesso Foro. Si enunzia in secondo luògo il Tempio di Vesta, e la picciola Reggia di Numa correlativamente all’Epigramma di Marziale nel libro 1:

Quaeris iter? dicam: vicinum Castora canae
  Transibis Vestae, virgineamque domum.
Inde sacro veneranda petes Palatia clivo;
  Plurima ubi summi fulget imago ducis.

e ’l Tempio di Vesta, e la picciola Reggia di Numa parimente si ravvisano nella Icnografia ai num. 78,75, e 72. Si parla in terzo luogo della deviazione della Via Sacra a mano destra: e questa deviazione si nota nella Icnografìa colla lett. g. Si enunzia in quarto luogo la porta del Palazzo cioè di Roma quadrata, o sia del Monte Palatino, chiamato Palazzo indifferentemente, come furono poi dette Palazzo le Case Imperiali (al che parimente corrisponde il detto Epigramma di Marziale, ove si parla del Clivo Sacro, e del Palazzo medesimo) e questo Clivo comeppure la Porta, si notano nella Icnografia col num. 67, ricordandosi, che a’tempi d’Ovidio il viaggio dalla predetta lett. g sino al num. 67 non era ingombralo dalla fabbrica Neroniana che si accenna col num. 59. Si enunzia in quinto luogo il Tempio di Giove Statore alle radici del Palatino: e questo si ravvisa supplito e contrassegnato nell’Icnografia col num. 66. Cosicché, additandosi quivi il Palatino, e vedendoci scortati ai succennati avanzi notati nella Topografia generale co’detti num. 289, 290, 291, e 305, si debbe concludere, che questi appartenessero ad Augusto, giacché in que’ tempi non vi era altra Casa Imperiale che la sua.

Il secondo Imperatore ch’ edificò sul Palatino fu Tiberio, come si raccoglie da Svetonio in Ottone, e con maggior precisione da Tacito nel primo delle Istorie, ove si parla del medesimo Ottone, il quale per Tiberianam domum in Velabrum, inde ad milliarium Aureum sub Aedem Saturni perrexit. Dunque gli avanzi della Casa Tiberiana sono i segnati nella Topografia generale co’num. 293, 294, e 295, corrispondenti nella Icnografia del Foro Romano colle lett. h, i, k, l, giacche questi rimangono sull’ angolo il quale riguardava il Velabro, notato nella stessa Icnografia fra i num. 100, 101, 102, e 103.

Cajo Caligola fu il terzo edificatore sul Palatino, come si ha da Svetonio al cap. 22 della vita di questo Imperadore: Partem Palatii ad Forum usque promovit, atque Aede Casloris et Pollucis in vestibulum transfigurata, etc., super Augusti Templum ponte transmisso, Palatium, Capiloliumque conjunxit. Dal che si deduce, che la parte del Palatino ove Caligola edificò la sua casa, riguardava il Foro e’l Campidoglio, a cui fu congiunta col ponte; e in conseguenza, che gli avanzi delle antiche fabbriche del Palatino riguardanti il Campidoglio, (e notate nella Topografia generale co’num. 282, e 292, i quali corrispondono nell’Icnografia alle lett. m, n, o, p) appartenessero alla stessa casa. Il ponte poi con cui Caligola congiunse il Campidoglio col Palatino, si vede notato in pianta nella detta Icnografia colle lett. q, r, s, ove passava sopr’ al Tempio d’Augusto, ivi parimente notato col num. 82 il qual tempio investiva il Palatino, come si raccoglie dalle parole: quod est in Palatium, cioè erga Palatium, appartenenti alla seguente iscrizione ritrovata nel Colombajo di Livia, e da me rapportata fra le altre nella Tav. XXVII del Tomo II. Dis Manibus Aug. Lib. Bathyllus Aedituus Templi Divi Aug. et Divae Augustae, quod est IN PALATIUM immunis et honoratus.

Essendo stato il Palatino ingombrato dalle riferite tre fabbriche Imperiali di Augusto di Tiberio e di Cajo, ed essendo tutto il rimanente del Colle occupato da edifizj popolari, e da templi, accadde sotto di Nerone il famoso incendio, il quale, come racconta Tacito nel XV degli Annali, initium in ea parte Circi ortum, quae Palatino Coslioque montibus contigua est (cioè dal luogo notato nella Icnografia del Foro colla lett. t). Ubi per tabernas, quibus id mercimonium inerat quo flamma alitur, simul coeptus ignis et statim validus, ac vento