Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/333

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Sarsi non mi nega in tutto, ma, come si vede, in parte m’ammette: la qual concessione io devo riconoscere dalla sua cortesia più che da una interna e verace concessione, perché, per quanto io posso comprendere, egli non è di quelli che così di leggiero si lascino persuadere dalle mie facilità, poi ch’egli stesso, reputando che la scrittura del signor Mario sia mia cosa, dice nel fine del precedente essame, quella esser stata scritta con parole molto oscure, e tali ch’egli non ha potuto indovinare il senso.

Già, come ho detto, quanto all’esperienze me ne rimetto a V. S. Illustrissima, che le ha vedute, e solo, incontro a tutte, ne replicherò una scritta di già dal signor Mario nella sua lettera, dopo che averò fatto un poco di considerazione sopra certa ragione che il Sarsi accoppia coll’esperienze: la qual ragione io veramente pagherei gran cosa che fusse stata taciuta, per reputazion sua e del suo Maestro ancora, quando vero fusse ch’egli fusse discepolo di chi egli si fa. Oimè, signor Sarsi, e quali essorbitanze scrivete voi? Se non v’è qualche grand’error di stampa, le vostre parole son queste: "Hinc videas, quotiescunque movens moto maius fuerit, tunc longe faciliorem motum futurum: imposito enim vasi operculo AB, tunc superficies interior catini et operculi simul, ad cuius motum movendus est aër, maior est aëre proxime movendo; est enim superficies illa continens, aër vero contentus". Or rispondetemi in grazia, signor Sarsi: questa superficie del catino e del suo coperchio con chi la paragonate voi, colla superficie dell’aria contenuta o pur coll’istessa aria, cioè col corpo aereo? Se colla superficie, è falso che quella sia maggior di questa; anzi pur sono elleno egualissime, ché così v’insegnerà l’assioma euclidiano, cioè che "Quæ mutuo congruunt, sunt æqualia". Ma se voi intendete di paragonar la superficie contenente coll’istessa aria, come veramente suonan le vostre parole, fate due errori troppo smisurati: prima, col paragonare insieme due quantità di diversi generi, e però incomparabili, ché così vuole una diffinizion d’Euclide: "Ratio est duarum magnitudinum eiusdem generis"; e non sapete voi che chi dice "Questa superficie è maggior di quel corpo" erra non men di quel che dicesse "La settimana è maggior d’una torre" o "L’oro è più grave della nota cefautte"? L’altro errore è, che quando mai si potesse far paragone tra una superficie ed un solido, il negozio sarebbe tutto all’opposito di quello che scrivete voi, perché non la superficie sarebbe maggior