Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/352

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è tanto rara, che voi stesso la nominate finalmente e la riponete tra i miracoli. Ora, sì come né per girar di fionde né per tirar d’archi né d’archibusi né d’artiglierie noi non veggiamo mai farsi gli effetti più volte nominati, o pur, se già mai è accaduto un tale accidente, è stato così di rado che dobbiamo tenerlo come miracolo, e come tale più tosto crederlo all’altrui relazione che cercar di vederlo per prova; perché, dico, stanti queste cose così, non vi dovete voi contentar di conceder che veramente per uno ordinario le comete non si accendono per un’attrizione d’aria, e contentarvi ancora di passar come cosa di miracolo se pur alcuno vi concederà che taluna si sia, una volta in mill’anni, accesa per quella attrizione ben corredata di tutte quelle circostanze che voi ricercate?

Quanto all’instanza che il Sarsi si promuove e risolve, cioè che alcuno forse potrebbe dire che non per attrizion d’aria, ma pel fuoco veemente che le caccia, si struggono le palle d’archibuso e d’artiglieria; io, primieramente, non sarò di quelli che oppongano in cotal guisa, perché dico ch’elle non si struggono né in quello né in modo veruno: quanto poi alla risposta dell’instanza, non so perché il Sarsi non abbia arrecata quella ch’è propriissima e chiara, dicendo che le palle e le frecce cacciate colla fionda e coll’arco, dove non è fuoco, mostrano la nullità dell’instanza apertamente. Questa pare a me che fusse risposta assai più diretta che la portata dal Sarsi, cioè che ’l tempo nel quale la palla va col fuoco, gli par troppo breve per liquefare un gran pezzo di piombo: il che è vero, ma vero è ancora che assai più breve è l’altro tempo ch’ella spende nel suo viaggio, per liquefarlo con l’attrizion dell’aria.

All’ultima conclusione ch’ei ne raccoglie, non so che rispondere, perché non intendo punto ciò ch’ei si voglia dire mentr’ei dice, bastargli aver mostrato ch’io, per questi essempi, non ho ritirata alcuna per isfuggire i testimonii de’ poeti e de’ filosofi; i quali testimonii essendo scritti e stampati in mille libri, io non ho mai cercato di sfuggirli, e ben mi parrebbe privo di discorso affatto chi tentasse una tale impresa. Ho ben detto che l’attestazioni son false, e tali mi par che siano tuttavia.



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"Sed obiicit præterea: Quamvis admittatur, ex motu accendi exhalationes aliquando posse, nescire tamen se intelligere, qui fiat ut statim atque ignem conceperint, non consumantur, sicuti in fulminibus, stellis cadentibus aliisque huiusmodi fieri quotidie videmus. Ego vero satis id intelligi posse existimo, si quis, ex iis quos hominum ars atque industria invenit ignibus, similiter de sublimioribus illis a natura succensis philosophetur. Duplicis enim naturæ nostri hi sunt: sicci alii ac rari nulloque hærentes glutine, qui, ut ignem conceperint, claro largoque fulgore, subito incremento, at caduco brevique incendio, nullis pene reliquiis, conflagrare solent; alii tenaciori materia compacti ac piceo liquore conflati, in longum tempus duraturi, flamma diuturniore nocturnas nobis tenebras illustrant. Quidni igitur in supremis illis regionibus simile aliquid contingat? Vel enim materia levis adeo rara et sicca est, ut nullo humidi vinculo colligetur; atque hæc subito celerique fulgore, in suo veluti exortu interitura, succenditur: vel certe viscida est et glutinosa; quæ, si quo casu accendatur, non ad interitum illico properet, sed suo plane succo diutius vivat, ac longiore ætate, suspicientibus undique mortalibus, ex alto resplendeat. Satis igitur hinc apparet, qui possit fieri ut ignes in summo aëre succensi non illico extinguantur aliquando, sed diutius ardeant: apparet etiam, aërem succendi posse, si ea præsertim adsint quæ calori ex attritu excitando plurimum conferunt, vehemens videlicet motus, exhalationum copia, materiæ attenuatio, et si quid aliud ad idem conducit. "

Legga or V. S. Illustrissima quel che resta fino al fine di questa proposizione; nel qual proposito poco mi resta che dire, avendone