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46 EMILIO SALGARI

— Voi gettarle nella rapida.

— Io non essere un milord, — rispose il gigante. — Non posseggo castelli, nè in Irlanda, nè nel Gallese. Picchiamoci dunque finchè le bestie se ne stanno tranquille.

— Pronto — rispose il lord, mettendosi rapidamente in guardia coi pugni all’altezza del viso.

— Quell’uomo è proprio pazzo! — sussurrò il signor Devandel in un orecchio dell’indian-agent — Come mai quei due uomini dopo l’ultima insurrezione degli Sioux si trovano in questo paese quasi deserto? Sapreste dirmelo, John? —

Il vecchio scorridore di prateria mise una mano sulle spalle della giovane indiana, la quale pareva pronta ad interrompere quella strana disputa, e coll’altra prese per il collo Curlam, stringendolo assai forte come per avvertirlo di non abbaiare.

Intanto il famoso svaligiatore delle corriere della California ed il maniaco inglese si erano messi in guardia, l’uno di fronte all’altro, a pochi passi dal canotto già così carico di cigni, da affondare o quasi.

L’aurora sorgeva allora. Il cielo lentamente s’imporporava, e la luce si diffondeva dolcemente sulla grande riviera del Lupo sempre scrosciante.

— Lasciamoli fare, — aveva detto l’indian-agent al signor Devandel. Uno è un gran birbante e l’altro un gran pazzo. Ci presenteremo al momento opportuno.

— Siete pronto, milord? — chiese in quel momento il bandito.

— Io avere freddo.

— Io vi scalderò a suon di pugni.

— Io amare la boxe. Voi essere grande maestro. Quando io ritornare in mia patria volere vincere tutti i lords della Camera dei Pari.

— Sono dei facchini quelle persone.

— Voi essere un asino.

— Ah, mi offendete? Prendete questo, milord. —

Il pugno chiuso del bandito, un pugno enorme che sembrava una mazza da fucina, colse in pieno petto l’inglese, il quale in quel momento non si teneva in guardia.

— Aho! — esclamò andando a gambe levate. — Voi picchiate forte questa mattina, mister.

— Quando vi persuaderete, milord, che io non sono un uomo da abbattersi a chiacchiere?

Volete la rivincita?

— Certo, mister.