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186 CAPITOLO QUARTO

di riserva che aspettassero, immobili e muti, l’avanzare della battaglia impegnata sulla loro fronte. Scrosciò a piombo, di colpo, la pioggia, cessarono i lampi, non si vide più niente. Il signor Marcello restò a guardare nell’ombra sonora fino a che udì Giovanni entrare collo scalone per accendere le lampade. Gli diede l’ordine di non accendere, com’era la regola quando non si avevano ospiti, o quando la signorina non passava la sera in salone. Bastava portargli la sua lucerna. Quando l’ebbe si piantò sul naso gli occhiali e si mise a leggere un giornale. Cosa insolita, se ne stancò subito. Non erano che le nove e mezzo, non aveva sonno; e poichè da qualche tempo soffriva d’insonnia, non desiderava coricarsi presto. Neppure aveva voglia di suonare. Suonava volontieri nelle ore di mestizia calda. Non era una di quelle; era un’ora di cuor pesante e freddo. Di salute si sentiva bene, nessun altro segno premonitore aveva seguito quel deliquio. S’egli si fosse ingannato a quel proposito? Se lo aspettassero lunghi anni di una vita simile? Almeno, se vivesse, vivere per qualche cosa di utile! Aveva meditata in passato, per consiglio di un amico, la istituzione di una colonia agricola. Perchè non riprenderebbe quell’idea? Potrebbe intanto scriverne all’amico, domandargli la sua opinione. Pensò come gli dovesse scrivere, se impegnarsi o tenersi libero. E il proposito gli languì nella mente, appena concepito. Si alzò con uno sforzo di volontà per non lasciarlo spegnere del tutto, per andare a scrivere; ma poi non si decise, si impietrò colla lucerna in mano, pensando. Lo scroscio della pioggia era disceso a un sussurro eguale, triste. Il vecchio posò la lucerna, andò nella veranda aperta a guardar la notte.

Pioveva a distesa, senza vento, come di autunno. La pioggia velava le montagne, velava anche i lumi di Arsiero. Quello era il posto dov’egli soleva prendere il