Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/1039

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certo il Suo vero merito non poteva non procacciarle immantinente la stima di que’ dotti, e l’affezione; Ella è troppo amabile per non dive- nire il padrone d’ogni cuore, fosse anche il meno sensibile. E questa mia compiacenza era tanto maggiore, in quanto io sperava di riabbrac- ciarla fra poco, colà recandomi principalmente per questo vivissimo desiderio; ma questa dolce lusinga non appena nata si estinse, e non sorse che per mia maggiore afflizione. Giunsero col Corriere mede- simo altre Sue lettere per le quali annunciava la partenza per Milano; partenza confermatami dall’ottimo Padre Maestro Poni, e mi accorsi da ciò ancora che non mi è dato di presagirmi un bene mai che non si converta in male. Non in tutto però l’avrà vinta la nemica fortuna; io sono rassicurato intanto della Sua prosperità, e sono certo del pari che dal viaggio di Milano ritrarrà sommo vantaggio; sfido tutto il suo sdegno a privarmi di questa consolazione; essa non dipende dal suo capriccio, ed io ne trarrò a dispetto di Lei il maggior conforto nella noja che mi circonda. Io La prego vivamente di alimentare questo pia- cere soavissimo colla frequenza delle Sue nuove, mezzo unico che ne resta nella distanza che ci divide, e di accrescerlo benanche dicendomi del sollecito Suo ritorno, seppur Le sarà facile il distaccarsi dai lette- rati Milanesi, e singolarmente dal sommo Sacerdote di Apollo, che se è Maestro di color che sanno, ha poi l’anima così gentile, che direi quasi difficil cosa il non identificarsi con Lui. Ella già ravvisa che io parlo del chiarissimo Cav. Monti; nè si era bisogno di nominarlo, se la venerazione che gli professo noi richiedea, e il pregar Lei di osse- quiarlo per me, e tenermi a lui caldamente raccomandato. Così cre- sceranno le mie obligazioni; che già le sono assai grato di avermi richia- mato alla memoria dolcissima dell’Egregio Professore Lampredi, le cui nuove, che più non aveva da molti anni, mi sono state d’infinito pia- cere; ora che conosco la sua dimora vado a scrivergli, e gli darò i suoi saluti. Il Suo bel cuore vorrebbe pur rallegrarsi con qualche buona noti- zia della mia salute; questo desiderio eccita tutta la mia riconoscenza. Ella sà che io vegeto non già in un rosaio, ma in un roveto; immagini dunque qual vita io meni; dopo specialmente la Sua partenza «Vommene in guisa d’orbo senza luce Che non sa ove si vada, e pur si parte».2 Nonostante, il corpo è meno infermo, e posso movermi alcun poco più libero; lo spirito però è poco manco che estinto. Non me ne dolgo; 913 Biblioteca Comnnate Dan Danino di Sarra FONDI