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Ad Antonio Papadopoli. |
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Conte mio pregiatissimo.
Ho ricevuto la cara sua degli 8, e la ringrazierei di quel che
Ella mi scrive, se fosse lecito o anche non assurdo il ringraziare
altrui dell’amicizia e dell’amore che ci è conceduto. Le grazie
che io le renderò saranno di amarla quanto me stesso, che è l’una
delle poche cose che io so far veramente bene. Con lunga e ferma
resistenza ho conseguito che lo Stella si persuada di non potermi
indurre a dirigere, come egli dice, la sua maledetta edizione cice-
roniana. Tornerò indubitatamente a Bologna; ma per quanto
desiderio io n’abbia, e per molto ch’io m’affatichi di sbrigarmi
da quello che mi resta a far qui, e che salve le leggi della civiltà,
non posso tralasciar di fare per lo Stella, veggo che il tornare
nel termine che io le aveva stabilito, cioè dentro questo mese,
non mi sarà possibile. Mi trovo colle mani nel vischio, e non
ne arrivo a spiccar l’una, che non vi resti appiccata l’altra. Questo
io le doveva avvisare, secondo che restammo d’accordo, e adem-
pio in questa parte la mia promessa. Ho ferma speranza di potere
esser costì dentro il mese prossimo; e se potrò, non accade sog-
giungere che verrò, e subito.
Monti è ora a Como. Zaiotti, Compagnoni1 e quasi tutti gli
uomini di valore sono in villa, e però non gli ho potuti ancora
vedere. La prego a salutar caramente per mia parte, e ringra-
ziare della memoria che hanno di me, la Contessa e il Conte
Pepoli, e il Prof. Costa. Poiché la fortuna, tra i molti mali e
i pochi beni che mi ha fatti in mia vita, mi ha pur conceduto
due cose per le quali fammisi perdonar molialtre offese,2 cioè di
conoscere Lei e di essere amato da Lei, resta che ora mi con-
ceda di servirla, al che non so veramente se io sarò così atto
come ad amarla. Ma Ella faccia quanto a se ch’io mi possa lodare
della fortuna anche in questa parte, e quanto all’opera mia, Ella
avrà caro, se non altro, il buon volere.
Il suo Leopardi