e che duoimi di essere fuori dell’opportunità di dichiararmiti per fatti e
non per parole - Ma non vuoi chiamare a consulto il Tommasini? Ti
prego cerca di chiedere l’opinione di questo valente medico, al quale
se vuoi io scriverò perchè venga da te, ad ovviare ogni tuo incomodo
- Io qui sono in isperanza di vedermi risanato ma neanche ho risen-
tito benefici dalla mia dimora, se togli una certa minore instabilità
nei miei nervi - Quanto a lettere non saprei che dirti, chè qui capi-
tano dopo molti secoli i libri del Settentrione dell’Italia, ma non per
noncuranza, ma per impotenza - Gl’ingegni abbondano, ma è difetto
di pazienza e di instituzioni - Come procede l’edizione del Bartoli?
Saluta da mia parte il Brighenti, e digli che spero di fargli alcuni sozi,
o almeno m’ingegno. Ed il Cicerone dello Stella si farà? Scrivimi. E
tu pensi di far publicare quei tuoi dialoghi cosi maravigliosi? Io vo
predicando, semprechè posso, del tuo soprabello ingegno, e tutti sono
desiderosi di leggere questi tuoi dialoghi. Ma tu fai il sordo? stampali
per dio - E il tuo volgarizzamento di Teofrasto è avvanzato? Vedi
quante cose desidero di sapere. Amami o caro e vero Amico; se mi
credi buono ad alcuna cosa scrivimi, e sta certo della mia inalterabile
amicizia. ..
li tuo Papadopoli
Cariuccio mio. Mi hai fatto un gran piacere a parlarmi un
poco di te, benché questo piacere sia temperato dal dolore di
sentirti così tristo. Ma già nel sentirlo da te, non acquisto nes-
sun dolore di più, perchè, pensando al tuo stato, non potevo
immaginarmi altro che tristezza. Credimi però che Lazzaro non
è morto ma dorme, voglio dire che tu non hai ancora perduto
il talento, come tu temi. La tua lettera, che già io non sarei più
capace di scrivere, me n’è una prova; oltre che io conosco abba-
stanza la forza della tua natura. Il certo si è che veramente è
un gran tempo che noi siamo divisi, cioè che una metà di noi
stessi è divisa dall’altra, e che questa divisione, contraria alla mia
natura, mi riesce sempre più penosa. La malinconia che spesso