Mia sorella vi risaluta, e, poiché me lo domandate, ha nome
Paolina. Quanto al maritarla in paese lontano, credo che non
faranno difficoltà nessuna; e parimente non istaranno gran fatto
sul punto della nobiltà, come nè anche lo trascureranno del tutto;
ma trattandosi di femmina ch’esce di casa, si contenteranno di
una civiltà competente, laddove se qualcuna ci dovesse entrare,
sarebbero scrupolosissimi. Di dote non credo che facciano conto
di darle più che un quaranta mila lire, ma queste fanno pen-
siero di pigliarle dalla dote della sposa di Carlo, la quale come
sarà ita in fumo, non so in che modo rimedieranno. Certo però
che venendovi alle mani qualche buona occasione, non ci fare-
ste altro che gran favore avvisandoci, che noi vedremmo pure
di cavarne qualche costrutto. Addio, carissimo. Se ci volete bene,
scriveteci spesso, e quando non crediate di potervi trattenere
con noi quanto nell’ultima vostra, fate come vi piace, che ci
soddisferemo anche del poco. V’amano vi abbracciano e vi salu-
tano i due vostri amicissimi. Addio, addio.
Piacenza l’ultimo di gennaio [1819J |
Son pieno di brighe, di liti, di malinconie: scriverò dunque breve
e noioso; ma certo riscriverò alla carissima dei 18. del mio Giacomino.
Or vedete ostinatissima perfidia di poste! ricevo la lettera: ma la stampa
dov’è? Oh che diamine di congiura è questa, che quei poveri versi mai
in nessuna maniera, sotto niuna forma, m’abbiano da poter arrivare?
Abbiate pazienza di mandarmene un’altra copia stampata; e manda-
tela sotto fascia (per minore spesa mia e vostra) sicché appaia che sono
stampe: ed ostinatevi a mandare sinché una di cento o ducento ne
giunga; ed abbiate anche pazienza di mandarle emendate di pugno;
acciò gli errori mai non mi togliessero l’intendere. Mi farete cosa gra-
tissima se mi scriverete distesamente sulla prosa italiana-, pigliatevi
volentieri questa fatica, non tanto per farne piacere a me, quanto per
distrarre voi stesso da più molesti pensieri.
Scrissi al Mai, già è un pezzo: mi rispose degnissimamente di voi;