Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/423

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tuoso, e deliberato di servirla diligentemente in tutto quello ch’io possa. Il che se mi verrà fatto, spero che V.S. non se ne sde- gnerà, e vorrà tenermi, com’io la prego, p[er] suo

Dmo Obblmo Servitore
Giacomo Leopardi

Recanati 19 aprile 1819

217. Di Pietro Giordani.
Vicenza 20. aprile [1819]

Mio caro giacomino: v’ho scritto l’altro dì da Milano. Io qui rimarrò certamente sin dopo la metà di maggio: più ancora, e non so quanto, se sarà vero che di qua passi Canova per andare al suo nativo Possa- gno. Io gli scrivo che mi faccia sapere il preciso; e son risoluto d’aspet- tarlo un buon pezzo. Io vo sempre parlando di voi, come di cosa amatissima e rarissima. Il Conte Leonardo Trissino (ben l’imaginavo) non ha avute le vostre canzoni: tentate dunque di mandargliene un’altra copia: perch’io vor- rei pure ch’egli e i buoni ingegni di questa città vedessero e sapessero quale e quanto miracolo è il mio giacomino. Poiché sto qui un pezzo, spero che mi scriverete. Credo impossibile che usciate mai di Reca- nati, se non per l’Accademia ecclesiastica di Roma; la quale mi sem- bra la cosa la meno impossibile di persuadere a vostro padre. Quello che importa è l’uscire: dopo questo primo passo, gli altri sarebbero tanto più agevoli. A questo porrei ogni cura; se pure è al mondo alcuno che possa con ragioni o con preghi ottenere qualche cosa da vostro padre. Perchè trovar fuori di paese di botto un impiego che dia abba- stanza da vivere, in questo mondo e in questi tempi è più che impos- sibilissimo. Credete voi che io, che ho già vissuto degli anni, e sono conosciuto da molti, e in molti luoghi, se io domandassi non qualche grande o mezzana cosa, ma solo d’esser preso per pedagogo di un cane, vi giuro per il paradiso e per l’inferno, che noi potrei mai ottenere. Credete che questo mondo è una maledetta cosa. E io vedo che avete pur bisogno di campo, e di luce: niente altro vi manca per esser sommo ed immortale. Io vo gridando di voi dolentemente come di un mira- colo infelice: ma che giova? Abbracciate carissimamente Carlo, salu-