Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/871

Da Wikisource.

della mesta consolazione che ricevo (dopo lunga ansia) dalla tua del 4. Mi consola aver Lina tua lettera, che antipongo pur a quelle di Tor- quato, e agguaglio a quelle di Cicerone quanto alla bellezza; e quanto all’affetto mi sono senza paragone. Mi rammarico, vedendo troncate quelle speranze romane, che mi avevano confortato. Oh Giacomino mio, rarissimo, incomparabile: sappiamo sopportare tacendo, e andare dal doloroso silenzio breve, all’insensibile silenzio eterno. Credimi: dio fece questo bel mondo unicamente per gli scellerati; e permise a una giunta d’alquanti sciocchi di goderne. Un bravo e buon uomo è una eccezione casuale e mostruosa contro le intenzioni (assai miste- riose) di chi fece e ordinò questo bel mondo. Io ho sofferto al cuore strazii inesprimibili vedendoti sfortunato, e pure speravo che un merito tanto straordinario, si qua fata sinerent, dovesse erompere a utilità e gloria pubblica. Ora m’acquieto a veder te (tanto maggiore, ma pur similissimo a me) assai somigliante ancora nel sentire e nel patire. Così vuole il nostro destino; così sia: nè per me nè per te, che sei il meglio di me stesso, fo più querele. Quel solo che dobbiamo fare (e faremo) è di amarci con tutto il possibile amore finché non solo in ambedue, ma in uno dei due dura il vivere: e chi resterà amerà ancora la memo- ria e il nome ddl’altro, come tuttavia incorporato a se proprio. Gia- comino mio, non pur sono pochissimi che possano (come ben giudi- chi) veramente stimare l’eccedente altezza del tuo ingegno e la squisitezza degli studi; ma chi intendere il tuo cuore, fuori di me, credo nessuno. Amiamoci; la lontananza è poco per rallentare un nodo cui stringo tanta conformità di dolore. A tante afflizioni se n’è aggiunta in questi giorni una ben tormentosa e inaspettata, la prigione d’un mio carissimo amico in Milano,1 egregiamente delicato d’animo e di corpo: la causa non si sa: egli è involto nella furiosa persecuzione universale; bench’egli credo non ha altra colpa che di pensieri. L’amo indicibil- mente, perchè bravo, bonissimo, e infelicissimo: non ti so dire come io ne sono smarrito e addolorato, quid sumus? et quidnam victuri gigni- mur? La vita è un deforme e terribile mistero: costa pur molto, e vale pur poco. Non è colpa di Carlino s’egli se ne prende quella parte grassa, che a noi non fa invidia. Egli sarebbe assai meglio, se fosse lasciato fare. Oh stoltezze umane. Se io potessi fare un servigio a Paolina, mi parrebbe di fare un bene a me stesso. Nè la sua dote è tanto piccola per questo paesaccio: la difficoltà è di trovar qui un marito: e non dico un marito buono: ch’io spererei più facilmente un buon demonio nel- l’inferno che un buon marito qui: ma io non conosco un marito qui