Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/971

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l’arena dietro a quel tragico, sebbene più d’una tragedia degna della scena per altre doti, abbia poi veduto la luce in Italia. Rin- graziandola dunque infinitamente del piacer vero e grande che Ella mi ha somministrato colla sua Teano, attendo l’adempi- mento della sua promessa circa l’altra sorella, con tanto mag- gior desiderio quanto è maggiore la virtù della prima. Molto bene Ella dice (sebben poco appartenga questo ai miei versi) che oggi chiunque in Italia vuol bene, profondamente, e filosoficamente scrivere e poetare, dee porsi costantemente nell’animo di non dovere nè potere in nessun modo essere com- mendato nè gustato nè anche inteso dagl’italiani presenti. E gli stranieri che saprebbono bene intendere i sentimenti, sono poco atti ad intender la lingua, massime in poesie forti, e di stile italiano, nutrito dalle intime e segrete fonti della favella. Ora non intendendo la lingua, non è possibile intendere i sen- timenti; o intendendola male, non si possono intendere i senti- menti se non per metà, e spesso a rovescio. E quanti sono oggi nella stessa Italia, che intendano perfettamente la lingua loro in uno stile veramente italiano? Sicché nè gl’italiani nè gli stra- nieri possono oggi apprezzare un poeta italiano degno di que- sto nome. Cosa veramente da far poco animo a chiunque avesse la disgrazia di saper bene e degnamente poetare. Ella mi ricorda molto a proposito il detto di Augusto vicino a morte, il quale si poteva aggiungere a quelli di Bruto e di Teo- frasto. Se volessi scusare il mio silenzio, direi, non ch’io volessi lasciare agli uomini il culto della fortuna, Divinità traditrice, ma che avendo tolta alla nostra misera vita la virtù e la gloria, a me parve aver fatto tutto, ed assai più che se le avessi anche voluto togliere la fortuna, la quale dai più dei filosofi (almeno in parole) è tenuta per molto inferiore alla gloria ed alla virtù. Onde avendo io ridotti gli uomini alla fortuna, non mi parve necessario di aggiunger altro, perchè pochi ignorano la vanità di lei. E molti antichi e moderni hanno, come Augusto, rasso- migliato il mondo a un teatro e la vita umana a una Commedia, ma non molti, massimamente tra gli antichi, hanno come Bruto e Teofrasto pronunziata solennemente la vanità della gloria anche giusta e degna, e della stessa virtù.