mi ha sempre spaventato, potrebbe pure obbligarmi a consen-
tire a quelle proposizioni, quando la cosa si riducesse in termini
più precisi, poiché fino ad ora ell’è, per così dire, in aria. In
ogni modo ne verrò presto a una conclusione, o del sì o del no.
Intanto desidererei che mi diceste se fino da ora posso esser
sicuro, venendo costà, di esser nominato alla cattedra che mi
significaste. Perchè, se ho questa certezza, e se i partiti di
Toscana mi riescono a nulla (come è facilissimo che accada);
può essere che, ricevuta la vostra risposta, io mi risolva di met-
termi subito in viaggio per Parma (essendo questa per me la sta-
gione), e di accettare cotesto partito quale ora è, confidandomi
poi negli amici per un miglioramento di condizioni nel futuro.
Non mi stendo di più per la ragione solita. Salutatemi carissi-
mamente, quanto più sapete, l’Adelaide, PAntonietta e il prof.
Tommasini, se ancora sono costì. Vogliate bene al vostro affet-
tuoso e riconoscente amico
G. Leopardi.
1443. |
Di Monaldo Leopardi. |
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Mio Caro Giacomo.
Io scrivo di raro a voi per non obbligarvi a rispondermi, ciò che
fate con travaglio degli occhj vostri, ma voi sapete bene che il numero
delle lettere non è la misura del mio affetto. Se potessi ascoltarlo ed
appagarlo scriverei ogni ordinario una lettera lunghissima per ciasche-
duno, e dopo suggellate queste lettere le riaprirei tutte quattro per
aggiungere ad ognuna un foglio di Post Scripta. Non potendo ciò farsi
scrivo ordinariamente per tutti alla nostra cara Paolina, che tutti
amiamo perchè è tutta di tutti, e che come del sesso di Èva dovrebbe
essere un po’ più copiosa nel carteggiare; ma non ci è caso di snidarla
dal suo laconismo, e come mostra ingegno e saviezza virile in tutta
la sua condotta, così vuol mostrare lingua e penna virili nel parlare
e nello scrivere. Veniamo però al perchè dello scrivere io oggi diretta-
mente a voi.