Addio mio Caro Generale. Non vi chiedo nè della salute
vostra nè della Storia, perchè spero di parlarvene presto, e ne
parleremo assai.
Il vostro Leopardi
P. S. Se mi scrivete a Bologna, piacciavi scrivere posta ferma-,
altrimenti volterebbero la lettera a Recanati.
1526. |
Di Vincenzo Gioberti. |
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[Di Torino, a’ 2 di Aprile, 1830.I |
Gentilissimo Amico.
Non posso io esprimervi, nè voi forse potete formarvi un concetto
della inquietudine che provo nel mancare da tanto tempo delle vostre
nuove. Ella è sì viva, che per acquetarla in qualche modo io vi scrivo
il costo di parere indiscreto, dopo che la gentilissima vostra sorella mi
significò essere voi in tale stato di salute, che non potreste senza grave
incomodo nè scrivere, nè dettare. E lo fo protestandovi, che non vi
voglio dar briga nè dell’uno, nè dell’altro, se continuate nel medesimo
essere; chè pur troppo non ho fondamento di sperare il contrario dopo
il terribile inverno, che abbiamo passato, durissimo alle persone di com-
plessione robusta, non che a quelle di cagionevole, e delicata, come
la vostra. Io l’ho provato per esperienza propria, avendone passata una
buona parte nel letto, costrettovi ora da scesa di testa, ora da una tosse
arrabbiata, che minacciò di togliere a’ miei polmoni quel poco di forza
ch’era loro rimaso; e le sarebbe riuscito, se coi salassi non l’avessi cac-
ciata. Sarò adunque pienamente soddisfatto, qualora non potendo scri-
vere voi medesimo, mi diate per mano d’altri un qualche ragguaglio
di voi; e mi contenterò, che questo sia brevissimo, purché preciso. Che
se in ciò vi pajo ancora troppo ardito, compatitemi, se non ho nè cuore,
nè voglia di emendarmi. Imperocché sarebbe d’uopo non aver cono-
sciuto l’ingegno vostro, nè praticata alla dimestica la singolare bontà
ilei vostro animo per non ammirarvi, e amarvi, o essere in questo così
rimesso, che la condizione di salute in cui vi trovate non riesca ama-
rissima, e la incertezza de’ suoi successi non sia tanto più molesta di