Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/489

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rivelazione, o tace intorno ad essi, vale a dire si giudica da sè stessa inetta a farne giudizio; e ciò massimamente intorno a quelle verità di cognizione oscura, e inadequata, che si chiamano misteri. Ho trovato, che le obbiezioni più forti che si fanno contro ai misteri, o presup- pongono in essi ciò che non v’è, o muovono da principii gratuiti, oscuri, incerti, e perciò non razionali. Se avessi d’ingegno, e mi rimanesse di vita, tanto da potere scrivere, vorrei esporre queste mie idee in qual- che operetta, che sottoporrei al vostro giudizio. Ma sempre più m’av- veggo con più certezza, che l’attitudine al comporre mi manca, e che la vita non può tardare a mancarmi. Questo però ho ricavato di utile da questi studj, che il mutamento d’idee in me operato, e l’adesione intima, schietta, profonda alla Religione cattolica, che ne è stata la conseguenza, ha partorito in me una dolce, e inusitata quiete, e con- solazione, la quale è per me un nuovo argomento della verità, e divi- nità di quella. I fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia, che altre volte mi tormentavano, e di cui parmi avervi fatto parola, sono svaniti, e hanno fatto luogo a una tranquillità d’animo, che da molti anni più non avea gustata. Il mio intelletto gode anch’esso riposo, e trova nella fede la soluzione di una infinità di dubbi, che prima lo angu- stiavano, e il possedimento di quella verità per cui è creato. Le stesse oscurità venerabili delle dottrine religiose mi riescono care, in quanto che mi danno occasione di esercitare un ossequio, e di concepire un desiderio, che ha pure la sua gioja. I mali poi che soffro, e la morte che mi è vicina già non mi spaventano, da che ho preso a considerarli come una espiazione, un sacrificio, una preparazione di una vita migliore. Quanto volentieri, o mio caro Leopardi, continuerei questi discorsi! E quanto più volentieri, e di queste cose, e della filosofia che sempre amo, ragionerei a bocca con voi! Ma l’uno il tempo, e l’altro le circostanze mi divietano. Frattanto non voglio più infastidirvi; e forse v’ho già infastidito di soverchio. Vi rinnovo la preghiera di farmi sapere in qualche modo delle vostre nuove: fatelo, se m’avete caro. Non sono entrato in questo foglio a consolarvi ne’ duri mali che soffrite, poiché la grandezza del vostro animo non abbisogna di conforti umani. Bensì pregherò continuamente Iddio, che vi consoli; Egli, le cui con- solazioni sono sole efficaci, e ineffabili. Addio mio caro Leopardi. Il vostro affez. Vincenzo. Di Torino, a’ 2 di Aprile, 1830.