Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/587

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dalla qualità de’ libri, e non dalla mole dipende l’immortalità degli scrittori: e voi, a quella età in cui gli altri cominciano a studiare spon- taneamente, e ad esercitarsi nello scrivere, siete giunto alla perfezione, e avete dato tal saggio di prose e di poesie, che toglie anche ai migliori ingegni la speranza di potere imitarvi. Questa mia opinione mi si è confermata, leggendo l’ultima edizione dei vostri canti. Essa è cer- cata qui, e letta con furore dai giovani, e da tutti quelli, che sono atti a pensare, e a sentire; e tutti, dopo la lettura convengono meco, dicendo, che questi sono i più bei versi lirici, che si siano scritti in Italia dopo quelli del Petrarca; ai quali sono da pareggiarsi per l’eccel- lenza dello stile, e della poesia, e da anteporsi per la pellegrina, e pro- fonda verità, per la forza, e per la importanza dei sentimenti. Quanto a me io vi debbo dire, che non la cedo a niuno nell’ammirare quelle canzoni che avete fatto sull’andare di quelle del Petrarca; ma che tut- tavia mi rapiscono anche di più le altre poesie nuovamente aggiunte; nelle quali, io mi sono stupito come possa congiungersi una sì elegante leggiadria, una sì cara grazia a tanta semplicità, sotto la quale si nasconde un artifizio maraviglioso. Voi vi siete, a parer mio, lasciato addietro il Tasso nell’Aminta, e quanti altri hanno tentato di traspor- tare nella poesia italiana la nativa ingenuità e candidezza della poesia greca. Di una sola cosa mi son doluto nella nuova stampa; cioè del cambiamento fatto al verso 15 della 6 stanza del canto 2, e della note- rella appostavi; ma son pur certo che a quest’ora non fareste più una tal mutazione. Mi spiace altresì che ci abbiate frodati in questa ristampa delle due bellissime dediche al Monti, e al Trissino, di molte note utilissime agli studiosi della lingua, e di quel mirabile discorso sulle ultime parole di Teofrasto, e di Bruto. Dopo avervi parlato dei vostri versi, e di alcuno di quegl’infiniti concetti che mi destano nel- l’animo, come potrò, come oserò parlarvi de’ miei poverissimi, e gret- tissimi studi? Ma perchè voi mi amate, e apprezzate la buona volontà, che vi parve eli trovare in me, bramerete forse che io ve ne porga un qualche cenno. Il mio modo di pensare s’è mutato assai da quello che era, quando vi scrissi quell’ultima mia,3 di tempra così lugubre, che (come mi scrisse la vostra sorella) mi giudicaste desideroso di morire. Non posso nei termini di una lettera aprirvi ciò che tengo e sento pre- sentemente intorno a quelle cose, ch’erano il tema di quella. Bastivi, che d’allora in poi, ebbi a sostenere nell’intimo del mio essere intel- lettivo, e morale tormenti, e angosce indicibili, che il solo ricordarle