Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/630

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do arrivato qua debitamente il dì 13. Mi è stato assai caro vedere il suo manifesto; e il saggio ch’Ella dà della sua traduzione, mi è piaciuto molto ma molto." Già ne aveva sentito parlare qui da parecchi con molta lode. Solamente, se si è a tempo, vorrei che nell’opera si mutasse una parola, cioè dov’Ella dice aveva giaciuto, si dicesse era giaciuto, perchè giacere, come verbo neu- tro, abbia l’ausiliare essere, secondo la regola. Del resto la con- cordanza da Lei intrapresa è opera, a quel ch’io credo, di non poca fatica e ingegno. Spero ch’Ella mi farà tosto avere le nuove di Carlo, sopra il quale non lascio di stare in qualche pena. Io sto bene, ma obbligato a grande e noioso riguardo; e trovo que- st’aria contrarissima al mio fisico, e nemica mortale del dige- rire. Almeno, mentre a Firenze non v’era più cibo ch’io non digerissi senza fatica, qui non v’è cibo abbastanza sano che mi convenga, ed ogni menomissima libertà mi fa male. Mi bene- dica, caro Papà, e creda all’affezione colla quale io le desidero prospero il nuovo anno. Il suo Giacomo 3 Gennaio

1702. A Carlo Troya.
Roma 9 Gennaio 1832.

Veneratissimo Signore ed Amico. Non ho che soggiungere a quanto in proposito di Filippo le scriverà l’ottima Donna Mar- gherita, se non solamente ringraziarla per la mia parte della sol- lecitudine e della forza colla quale Ella ha assunto la causa di questo mio amico, e confermarle in ogni sua particolarità il rac- conto che le sarà fatto da Donna Margherita, assicurandola sulla mia fede che non v’ha esagerazione alcuna, nè cosa simulata o dissimulata. E in particolare mi par doverle confermare che avendo veduto dalla sua pregiatissima1 che l’animo del padre di Filippo o non è, o cesserà facilmente di essere così avverso al figliuolo come si era creduto, io ho posto ogni opera mia per