Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/651

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1722. A Monaldo Leopardi.
Roma 8 Marzo 1832.

Mio caro Papà I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano. Mi dispiace molto di un falò del quale mi scrisse Paolina; tanto più che non posso credere che1 vi sia o vi sia stato veramente pericolo. - Io, forse con qualche mia colpa, ho ripreso un poco di febbre; la quale però, mediante un buon purgante, passò la sera del primo giorno, e mi lasciò un discreto raffreddor di petto, il quale pure colla cura e collo stare in casa, par che vada a finire: e spero che non m’impedirà di pormi in legno per Firenze, come ho intenzione di fare tra pochi giorni, se piace a Dio. Tornerò a scriverle prima della mia partenza, e gliel’annunzierò più pre- cisamente. Matteo e D. Paolo, partito per Perugia, dove è stato mandato di stanza, mi raccomandano di riverirla. Così Fucili, il quale veggo non di rado; ottima persona e molto sensata a parer mio. Fui da Donna Livia, la quale si loda moltissimo di Recanati, e massime delle attenzioni usatele da lei. Le auguro una buona Quaresima, e baciandole la mano la prego di cuore a benedirmi. Il suo Giacomo Mi dispiace proprio nell’anima infinitamente di seccarla/ Ma mi trovo forzato da estrema necessità, essendomi infame- mente negati da Napoli 107 scudi da me prestati in contante; del che sarebbe lungo a narrarle la storia. Questa cosa sconcerta tutte le mie disposizioni finanziarie, e mi costringe a ricorrere a Lei. Se trovassi qui danari in prestito, volentierissimo farei un debito piuttosto che molestarla; ma chi vorrebbe prestare a me, conosciutissimo per quel che sono? Il danaro, consegnato