1722. |
A Monaldo Leopardi. |
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Mio caro Papà
I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui
ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non
una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.
Mi dispiace molto di un falò del quale mi scrisse Paolina; tanto
più che non posso credere che1 vi sia o vi sia stato veramente
pericolo. - Io, forse con qualche mia colpa, ho ripreso un poco
di febbre; la quale però, mediante un buon purgante, passò la
sera del primo giorno, e mi lasciò un discreto raffreddor di petto,
il quale pure colla cura e collo stare in casa, par che vada a finire:
e spero che non m’impedirà di pormi in legno per Firenze, come
ho intenzione di fare tra pochi giorni, se piace a Dio. Tornerò
a scriverle prima della mia partenza, e gliel’annunzierò più pre-
cisamente. Matteo e D. Paolo, partito per Perugia, dove è stato
mandato di stanza, mi raccomandano di riverirla. Così Fucili,
il quale veggo non di rado; ottima persona e molto sensata a
parer mio. Fui da Donna Livia, la quale si loda moltissimo di
Recanati, e massime delle attenzioni usatele da lei.
Le auguro una buona Quaresima, e baciandole la mano la
prego di cuore a benedirmi.
Il suo Giacomo
Mi dispiace proprio nell’anima infinitamente di seccarla/
Ma mi trovo forzato da estrema necessità, essendomi infame-
mente negati da Napoli 107 scudi da me prestati in contante;
del che sarebbe lungo a narrarle la storia. Questa cosa sconcerta
tutte le mie disposizioni finanziarie, e mi costringe a ricorrere
a Lei. Se trovassi qui danari in prestito, volentierissimo farei
un debito piuttosto che molestarla; ma chi vorrebbe prestare
a me, conosciutissimo per quel che sono? Il danaro, consegnato