Vi prego ancora, se è possibile, (come spero che sia), a fare
che questa dichiarazione, col mio nome, sia indicata nella tavola
del fascicolo sopra la coperta, e, se si può, con un capoverso
(alinea) separato, acciocché non possa sfuggire all’occhio.
1744. |
A Giuseppe Melchiorri. |
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Caro Peppino, Tu m’hai a fare il piacere di far subito subito
inserire nel Diario di Roma la lettera annessa. Se v’è spesa,
avvisamelo, e ne sarai immediatamente rimborsato. Ma per amor
di Dio non mancare di farmi questo piacere in ogni modo. La
cosa non compromette nessuno: è sempre lecito di annunziar-
la verità in questo genere. Lo stesso mio padre troverà giustis-
simo ch’io non mi usurpi l’onore ch’è dovuto a lui. D’altronde
io non ne posso più, propriamente non ne posso più. Non voglio
più comparire con questa macchia sul viso, d’aver fatto quel-
l’infame, infamissimo, scelleratissimo libro. Qui tutti lo credono
mio: perchè Leopardi n’è l’autore, mio padre è sconosciutissimo,
io sono conosciuto, dunque l’autore son io. Fino il governo mi
è divenuto poco amico per causa di quei sozzi, fanatici dialo-
gacci. A Roma io non poteva più nominarmi o essere nominato
in nessun luogo, che non sentissi dire: ab, l’autore dei dialoghetti.
È impossibile ch’io ti narri tutti gli scorni che ho dovuto sof-
frire per quel libro. A Milano si dice in pubblico che l’autore
sono io, che mi sono convertito come il Monti. A Lucca il
libro corre sotto il mio nome. Io stampo in tutti i Giornali d’Italia
la mia dichiarazione: essa esce a momenti in quei di Toscana.
In Francia ne mando una molto più strepitosa. Ma m’importa
grandemente di Roma, e benché la cosa sia semplicissima, non
lascio di raccomandarla a te caldissimamente. La cosa, come ho
detto, non può aver difficoltà; essendo sempre permesso di
annunziare che un libro non è vostro, fosse pure il più bello
e il più santo libro del mondo.