Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/101

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 95


Ero soletto e sanza alcuna compagnia se non delli miei amorosi pensieri, li quali, molestandomi come il piú delle volte sogliono fare, cominciai meco medesimo a fare pensiero di volerne fare doglienza con Amore, come cagione de’ miei pianti e sospiri e dell’altre amorose pene. E, volendo ad una ad una narrargliene, mi era necessario cominciare da quella parte che e prima e piú era offesa, la quale era il cuore. Volendo adunque narrare l’afflizione del cuore, pareva necessario di guardare nel cuore, e guardando considerare per potere narrare lo stato suo. E se bene nel cuore erano dipinte molte passioni e tormenti, pure maggiore impressione aveva fatto in esso la imagine del viso della donna mia, il quale, essendo bellissimo, e sí come era il vero, molto lucente e chiaro e per la bellezza e per la luce, tirò gli occhi miei e gli sforzò a rimirare quella imagine, levando loro la visione delle pene del cuore; parendo molto conveniente che una cosa bella e lucente elevi la visione dell’altre cose, com’è natura della eccessiva luce, e tragga gli occhi a sé come sempre suol fare la bellezza. Mirando adunque gli occhi miei questa imagine, in luogo delle pene, parve loro molto bella e dolce, cioè piena di pietá. E però, se prima era intenzione degli occhi vedere l’afflizione del cuore, cosa molesta e deforme, per dolersi, veggendo il viso della donna mia bello e pietoso, e de directo opposito a quelle afflizioni, ne doveva nascere ancora uno effetto tutto contrario al dolersi. Per la quale cagione il primo pensiero di dolersi vergognoso morí ed in tutto si spense, ed un altro ne nacque contrario, di ringraziare ed onorare la donna mia, la quale era sí bella e tanto gentile, che, solamente essendomi concesso di vedere sí bella cosa, quando mai non vi fussi suto pietá alcuna, non potevo aver cagione a dolermi, ma piú tosto di ringraziarla. Mosse il pensiero di dolersi la passione, che accieca la mente ed obumbra l’intelletto d’una tenebrosa ignoranza; ma, sopravenendo la luce della veritá, e fugate queste tenebre, non sanza vergogna si rimira l’errore passato, e però muore vergognoso il primo pensiero, e nel suo luogo succede l’altro pensiero piú vero e piú laudabile, di ringraziare la donna mia e di esaltarla