Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/295

Da Wikisource.

canto decimoquarto

Par l’altrui passo e andar vorrebbe il primo;
Non che il prode di mano e d’intelletto
550Novator di Zurigo, e i due di Praga,
Ch’ebber pari il supplizio e l’ardimento,
E duce a entrambi e ispirator Vicleffo
Eversore di dogmi; e quanti osâro
Alle voraci arpíe di Vaticano
555Spennacchiar l’ale e rintuzzar li artigli.
Destossi anch’ei sul torbido Tamigi
Il lascivo Tudorre, e già già mezzo
Sorgea dall’acque, e s’apprestava al volo,
Quando piombâr su la sua testa, a guisa
560Di rapaci avvoltoi, le trucidate
Sue concubine, e il regal manto e il petto
Gli addentaron, sbranandolo. Stridea
L’obliqua alma del Re, mentre, ravvolta
Nel casto velo, sdegnosamente il tergo
565Gli volgea l’infeconda Aragonese
Commiserando; e tu dalla lontana
L’incatenavi co’l tranquillo sguardo,
O grave ed incorrotta ombra del Moro.
    Eran queste le schiere e questi i duci,
570Ch’oltre al Sole movean, e al mover loro
Dai quattro venti della terra un grido
Terribile s’ergea, qual se sconvolti
Da profonda procella a un punto solo
Mugolassero i mari, o scatenati
575D’avversi poli s’azzuffasser tutti
Con forze uguali ed ugual rabbia i venti.
Tuonavan dalle selve ime e dagli antri,
Già sacri al vorator d’uomini Odino,
Quant’ostie mai su’l suo tremendo altare
580Caddero; urlavan fieramente anch’esse
Le vittime di Teuta, a cui, più care
Di rugiadosi vischj e di verbene,



— 291 —