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80 ricordi delle alpi.


III.

Una Sventurata.

Domineddio che vista!

S’era passato appena le poche tavole, che servono malamente di pedanca sul torrente, dopo che la piena delle acque ne ruppe il meschino ponte di legno che vi sorgeva, che, spinto così d’impensata lo sguardo sull’uscio d’una casicciuola o stamberga a sinistra, uno strano spettacolo ci strinse il cuore.

In un’umida e annerita stanzuccia a pian terreno, più sotto della via, vera catapecchia a uso di cucina e di stalla (in fatti in un angolo scuro era sdraiata una capra), proprio in dirittura della porta, sorgeva una specie di letto, ossia un giaciglio formato di due panconi, un pagliericcio e alcune coperte sucide e a strambelli, dove giaceva una cotal figura umana mandando un rantolo penosamente cavernoso, e dimenandosi nella più viva inquietudine.

L’infelice giacente, di cui non sarebbe stato possibile distinguere a vista il sesso, era una donna poco su de’ trent’anni, color terreo pretto, deformissima di schifosa scrofola; coi capelli (mio Dio che capelli!) tutti a grumi,