Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/19

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lisi e date leggi che gli dicano, non oltrepasserai questi limiti, già non è più. Pure, e’ si faccian lieti, che se i nostri antichi non conobbero la loro scuola ciarliera, stavano però legati alla catena vitruviana ed alla aristotelica: di questa taccia non è mondo Francesco di Giorgio, nè io il celo: ed appunto quel Vitruvio colla sua capanna, colla sua vergine corintia, colle sue proporzioni antropografiche spacciava a modo suo le dottrine estetiche de’ Greci e de Romani. Dirò di più come travolto l’autor nostro dall’età in cui visse, tutta dedicantesi agli studi dell’antichità, abbia scritta una lingua cospersa di latinismi troppo improprii al soggetto, sicchè spesso ti faccia desiderare la rozza semplicità dell’antico dialetto di Siena in che aveva scritto dapprima. Ma, sono forse molti gli autori di quel secolo che adoprate abbiano le belle e schiette forme italiane? Pur troppo che rarissimi sono. Anzi, maggior fu ancora tra gli artisti codesta lue, come accade a gente che non facendo professione sua le lettere, si volge poi là ove vede andare chi in quella età ne sia tenuto maestro: e nondimeno schiettissima parrà la lingua sua appetto a quella degl’ibridi scrittori d’architettura di que’ tempi, di Francesco Colonna, del Filarete, del Paciuolo, del Cesariano.

Gl’ingegneri poi che coltivano la storia dell’arte loro, vedranno senza dubbio volonterosi in questo trattato e negli aggiunti disegni i primordi della loro nobilissima scienza nascente per opera di tanti chiari e laboriosi uomini, e di costui specialmente per cui ne’ moderni tempi cominciò la teorica dell’architettura militare ad accom-