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166 viii - adriano in siria


Adriano. Come! È sposa Emirena?

Farnaspe.   Altro non manca
che il sacro rito.
Adriano.   (Oh Dio!)
Ma lo sposo dov’è?
Farnaspe.   Signor, son io.
Adriano. Tu stesso! Ed ella t’ama?
Farnaspe.   Ah! fummo amanti
pria di saperlo, ed apprendemmo insieme
quasi nel tempo istesso
a vivere e ad amar. Crebbe la fiamma
col senno e con l’etá. Dell’alme nostre
si fece un’alma sola
in due spoglie divisa. Io non bramai
che la bella Emirena; ella non brama
che ’l suo prence fedel. Ma, quando meco
esser doveva in dolce nodo unita,
signor, che crudeltá! mi fu rapita.
Adriano. (Che barbaro tormento!)
Farnaspe.   Ah! tu nel volto,
signor, turbato sei: forse t’offende
la debolezza mia. Di Roma i figli
so che nascono eroi;
so che colpa è fra voi qualunque affetto
che di gloria non sia. Tanta virtude
da me pretendi invano:
Cesare, io nacqui parto e non romano.
Adriano. (Oh rimprovero acerbo! Ah! si cominci
su’ propri affetti a esercitar l’impero.)
Prence, della sua sorte
la bella prigioniera arbitra sia.
Vieni a lei. S’ella siegue,
come credi, ad amarti,
allor... (dicasi alfin) prendila e parti. (scende)
          Dal labbro, che t’accende
     di cosí dolce ardor,