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224 | viii - adriano in siria |
SCENA III
Qual è dunque il mio ben?
Sabina. Conosco ancora
del mio caro Adriano
in quei detti confusi il cor sincero.
Ingannarmi non sai. No, non celarmi,
la tua virtú, la tua bellezza; e pure
non ho cor per amarti. Odio me stesso
Barbaro! mancator! spergiuro! ingrato!
Adriano. (Son fuor di me.)
Sabina. (Che dissi!) Ah! no: perdona
l’orgogliose querele. Ire son queste,
che nascono d’amor. Come a te piace
di me disponi. Instabile o costante,
sarai sempre il mio ben. Chi sa? Lo spero,
verrá, verrá quel giorno,
che, ripensando a chi fedel t’adora,
forse dirai... Ma sarò morta allora. (siede)
Aquilio. (Qui Sabina!) (in disparte)
Adriano. (Io non posso
piú vederla penar. Cedo a quel pianto:
mi sento intenerir.) Sabina, hai vinto!
A’ tuoi lacci felici
Adriano. Che son vinto, che cedo,
che ti rendo il mio core.
Sabina. Ah! non lo credo.