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353 | atto terzo |
SCENA IV
Giasone con argonauti, e dette.
oscura i lumi tuoi?
Issipile. Sposo adorato,
opportuno giungesti. Ah! puoi tu solo
consolarmi, se vuoi. Corri... Difendi...
Abbi pietá di me!
Giasone. Spiégati. Ancora
intenderti non so.
Issipile. Toante... Il padre...
Learco... Ah, mi confondo!
Rodope. Al mar conduce
il traditor Learco
incatenato il re.
Giasone. L’istesso è forse...
Issipile. Sí, quel Learco istesso,
che te, dal sonno oppresso,
svenar tentò; ma, trattenuto, almeno
funestar co’ sospetti
volle la nostra pace.
Giasone. Anima rea!
Issipile. Principe generoso, ecco un’impresa
degna di te. Tu conservar mi puoi
ii caro genitor. Perdi la sposa,
se lui non salvi. È ad un sol filo unita
la vita di Toante e la mia vita.
Giasone. Lasciami il peso, o cara,
di punire il fellon. Ma tu rasciuga
le lagrime dolenti. Al mio coraggio
è troppo gran periglio
il vederti di pianto umido il ciglio.