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dezza» (f. 5) la situazione di «guerriglia» (f. 5)1 e il pericolo di eventuali rivelazioni («il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni», f. 3). Tutto ciò diede inizio al tormentato dibattito di quei giorni; tuttavia la centralità di questo documento non sta ancora in questi elementi, già da soli rilevanti, ma nella natura riservata che secondo Moro questo testo avrebbe dovuto avere e nel modo in cui tale richiesta di riservatezza fu trattata: «In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori» (f. 2). Insieme al comunicato n. 3, nel quale non si faceva cenno allo scambio di prigionieri, le Brigate rosse fecero invece pervenire a vari organi di comunicazione le fotocopie di questa lettera, dichiarando: «ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume, la rendiamo pubblica»2. Da una successiva lettera a Cossiga — scritta intorno al 4-5 aprile e mai recapitata, non nota in originale e attestata in forma dattiloscritta e in fotocopia — si deduce la tragica inconsapevolezza di Moro su quanto era realmente avvenuto, perché afferma: «Vorrei pregarti che, almeno su quel che ti ho scritto, vi fosse, a differenza delle altre volte, riservatezza. Perché fare pubblicità su tutto?»3.

Il confronto tra questi due documenti, uno esistente in originale, l’altro giunto dal silenzio di via Monte Nevoso e dall’eco di una trascrizione e di una copia nascosta in una intercapedine per dodici anni, è uno degli esempi della potenza esegetica di questo corpus di scritti, se considerato nel suo insieme e nella sua eterogenesi: la seconda lettera a Cossiga «non venne recapitata, non solo perché ripeteva concetti già noti, ma soprattutto in quanto avrebbe svelato il doppio gioco dei brigatisti»4. Proprio il suo non essere stata recapitata rivela in modo consistente l’autenticità di quell’affermazione di Moro, non scritta dunque in quanto comandato o indotto dai suoi rapitori, ma perché i carcerieri lo informavano solo in funzione dei loro obiettivi, sulla base dei quali calibravano gli invii degli scritti e la loro eventuale pubblicazione; dunque Moro espresse autonomamente l’idea che la divulgazione della prima lettera era stata decisa da Cossiga stesso e realmente scriveva ciò che pensava e riteneva di scrivere. Lo scostamento tra il documento visibile

  1. Sulla terminologia cfr. M. Napolitano, Guerriglia, guerra, prigioniero politico, stato di necessità. Considerazioni sul corpus delle lettere di Aldo Moro dalla prigionia, in Nuovi studi sul sequestro Moro... cit., pp. 103-150.
  2. Esemplari dei comunicati delle Brigate rosse sono conservati nel fascicolo processuale.
  3. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 16, pp. 29-30.
  4. Ibid., p. 30 nota 11.